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Ciao bavaglio dibattito rimandato a settembre, ma destinato a morire


La legge sulle intercettazioni non c’è più. O meglio: rimbalza a settembre, ma è destinata ad essere inoltrata nel classico “binario morto”, un modo per dire che chissà se verrà mai ripresa in mano. E, soprattutto, è assai incerto il quando. Il pericolo, però, non può dirsi del tutto scampato. Ancora ieri, in un’aula di Montecitorio in piena fibrillazione, la disgregazione della maggioranza in mille pezzi, c’era ancora chi, tra i berluscones di più stretta osservanza, ipotizzava un possibile “colpo di coda” del Cavaliere. “A lui la legge non piace più – sosteneva – ma se si dovesse andare alle elezioni anticipate, verrebbe subito rispolverata e approvata in men che non si dica”. Ma non adesso. L’idea di Berlusconi dell’altra sera di “ritirare il provvedimento” perché ormai privo di quel mordente e di quella motivazione con cui era nato (il “bavaglio”, per intendersi) non poteva che essere una battuta; ritirare palesemente il ddl avrebbe dato a Fini l’alloro di una vittoria nel segno della legalità e dei valori costituzionali della libertà di stampa che Berlusconi non gli avrebbe concesso neppure sotto tortura.
Disinnescare una mina

Si trattava, tuttavia, di trovare il sistema per disinnescare un pericolo incombente nell’iter dei lavori parlamentari alla Camera, ovvero la calendarizzazione per la prima settimana di agosto delle pregiudiziali di costituzionalità della legge, per le quali sarebbe stato previsto il voto segreto. Solo due settimane fa, un simile appuntamento sarebbe stato guardato con sufficienza dalle truppe berlusconiane, coscienti che a qualunque strappo sarebbe seguito a ruota un voto consenziente dei finiani, decisi a non prendersi in alcun modo la responsabilità di un’eventuale caduta dell’esecutivo su una legge così sensibile. Con il passare dei giorni, però, la situazione politica nella maggioranza ha cominciato a corrompersi, rendendo sempre più palese che il voto finale alla Camera sulle intercettazioni poteva diventare esiziale non solo per il Pdl, ma anche per il governo. E prima che fosse troppo tardi, che cioè la questione del calendario dei lavori di Montecitorio d’agosto, diventassero il palcoscenico di un duello rusticano tra Fini e Berlusconi sull’onda dei temi della giustizia e della legalità – che avrebbero visto perdente Berlusconi – il ministro Alfano, di concerto con i coordinatori del Pdl e il capogruppo alla Camera, Fabrizio Cicchitto, hanno deciso che era meglio disinnescare la mina: tutto rinviato a settembre. Se – e quando – si dovesse riprendere l’argomento, si comincerà con un voto sulle pregiudiziali di costituzionalità dove i finiani, però, avevano già promesso un voto contrario; con i nuovi assetti che si vanno formando nell’emiciclo di Montecitorio, il passaggio della legge alla Camera resterà dunque molto accidentato.

Una legge “figliastra”

Ma questo è uno scenario solo futuribile. Perché il Cavaliere della legge così com’è strutturata oggi, figlia di mille compromessi e altrettante violazioni costituzionali, non sa più che farsene. Certo, il fatto che non sia stata approvata nei tempi e nei modi da lui imposti alla maggioranza, rende questo slittamento “ad libitum” del provvedimento di fatto una sua sconfitta personale. E, certamente, una vittoria di Fini, con la sponda del capo dello Stato. Per il Cavaliere, poi, si riapre anche un’altra incognita che riteneva di aver risolto accelerando in modo spasmodico l’iter della legge: le nuove inchieste giudiziarie. Se Berlusconi, infatti, aveva fatto tanta fatica, era perché intendeva mettere un bavaglio definitivo allo “sputtanamento” dei suoi più stretti sodali sulle pagine dei giornali grazie alla pubblicazione di paginate intere di intercettazioni. Con la scusa della tutela della “privacy” dei cittadini, Berlusconi voleva solo garantire a se stesso e al suo governo di venire travolto da nuove rivelazioni e avvisi di garanzia; a questo punto il rischio rimane molto alto, ma per il Cavaliere ci sono già nuove emergenze da dover tamponare. Ecco, infatti, all’orizzonte la possibilità che il legittimo impedimento venga bocciato dalla Consulta entro ottobre, ben prima che il Lodo Alfano bis, in forma costituzionale, possa cominciare a muovere i primi passi al Senato. Il tutto unito all’esigenza di riorganizzare il partito partendo dal basso (lo farà ad agosto, ma con spirito diverso dalle aspettative) e la Lega da tenere sotto controllo sulla questione del Federalismo; troppo per poter sostenere anche tutti i timori legati alle intercettazioni e al possibile rifiuto di firma da parte del capo dello Stato.

Di Pietro: “Ritiratelo”
E ieri Antonio di Pietro è sceso in piazza con il Popolo Viola che manifestava ancora contro il ddl intercettazioni per ribadire il suo punto di vista: “Non c’è nulla di meno che il ritiro – ha spiegato il leader Idv – perché questo provvedimento è decisamente inemendabile e, dunque, non ci daremo pace finché non lo avranno tracciato del tutto”. Di Pietro è conscio che questo non avverrà mai, non foss’altro perché il Cavaliere mai ammetterà la sua sconfitta, ma è chiaro che il leader Idv intravede la possibilità che, in caso di emergenza, i fedelissimi del premier, a partire da Alfano, lo possano rispolverare per farne una nuova arma contro giudici e stampa. Ma non succederà domani.

Fonte: Il FQ

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