La maggioranza, finché c’è, ha il dovere politico e, più ancora, etico e morale di governare e risolvere i problemi del paese. Non di fare chiacchere, come è stato finora. L’opposizione ha il dovere altrettanto politico ma anche etico e morale, di rimettersi insieme, prendendo atto che in questo momento non c’è una coalizione avversa a quella del Pdl e Lega». Questo in estrema sintesi il pensiero di Massimo Donadi, capogruppo dell’Italia dei valori alla Camera, che però avverte: «Se questa maggioranza implodesse ci potremmo trovare di fronte a un’emergenza nazionale, di fronte al problema di creare una maggioranza diversa o andare alle elezioni».
Cosa si dovrebbe fare in quel caso?
«Ci sono questioni gravi legate alla crisi economica ma, poiché si vota in tre mesi, io penso che sia meglio avere un governo che sia espressione della volontà degli elettori con un mandato chiaro, piuttosto che uno pseudo governo tecnico. Però, prima di andare a votare, bisognerebbe fare, in tre o al massimo sei mesi, una riflessione sulle regole, perché in Italia c’è una democrazia taroccata. In una democrazia dell’informazione non si può andare alle elezioni quando forze economico-editoriali, che fanno riferimento al presidente del consiglio, condizionano alla radice la trasparenza e l’obiettività del formarsi del pensiero politico nel paese».
E cosa propone?
«Tre leggi fondamentali: una sulla libertà dell’informazione che stabilisca l’informazione libera ma anche la politica libera dall’informazione, ci deve essere incompatibilità fra chi fa una cosa e chi fa l’altra. Secondo: servirebbe una riforma delle legge elettorale che ridia pienezza del diritto di voto ai cittadini e, tre, una riforma dei regolamenti parlamentari perché non si accampino pretesti sulle leggi che non vengono approvate, passando stancamente da un ramo all’altro dal parlamento».
Si dovrebbe creare una maggioranza diversa, quando Bersani parla di patto repubblicano anche con Fini, lei pensa che dovrebbe servire a questo?
«Esattamente, ma senza perdere di vista che sono due i profili su cui lavorare. Il primo è quello di lunga prospettiva, della costruzione di una coalizione che si candidi a governare con una visione riformatrice del paese. L’altro è essere pronti a fronteggiare il rischio che questa maggioranza imploda e, in questo caso, ci si deve dare il compito di riscrivere due o tre regole per restituire veridicità a una democrazia taroccata e, al tempo stesso, fare fronte alle urgenze economiche e sociali prodotte dalla crisi».
Quale opposizione?
«Sono un po’ stufo dell’etichetta di centro sinistra. Nella politica italiana destra e sinistra sono concetti da radere al suolo e da ricostruire sulla base di progetti nuovi. Abbiamo bisogno di passione e generosità e di pochi calcoli politici fatti a tavolino, di quelli che hanno visto indulgere il Pd su pallottolieri magici che gli elettori hanno rifiutato. E abbiamo bisogno di trovare presto, sulla base di valori trainanti, un leader, poiché nelle democrazie moderne non si può fare a meno di incarnare il progetto in una leadership».
Un leader non si compra su e bay
«È vero ma va riconosciuto al Pd il merito di avere imposto un metodo di grande partecipazione come le primarie. Bisognerebbe avere il coraggio di trasformarle in qualcosa di ancora più americano di quanto non siano state fino adesso. Diamoci tempo un anno in cui candidati della società civile e dei partiti si confrontino sulle idee, poiché l’unico modo di fare emergere una leadership è il confronto delle idee. Se aspettiamo le segreterie dei partiti, non dico un Obama ma nemmeno un Tony Blair verrà mai fuori».
Fonte: Unita.it
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