Alzare l’età legale a 21 anni e introdurre una licenza comunale per le prostituite. Come preannunciato dal patto di coalizione firmato nel novembre 2012 prima di dare il via al terzo governo Merkel, la Germania si appresta a rivedere quella legge sulla prostituzione approvata dal governo di Gerhard Schroeder nel 2002 e che ha reso il Paese uno dei più liberali al mondo quanto a sesso a pagamento.
“Aumento dell’età minima e introduzione di una vera e propria licenza a pagamento rilasciata dal comune sia a chi lavora da indipendente che nei bordelli”. Per Gerd Landsberg, presidente dell’associazione che raggruppa le autorità tedesche locali sono questi gli strumenti giusti per contrastare criminalità e prostituzione forzata. “Assieme alla licenza, si deve obbligare la lavoratrice a sottoporsi a una serie di test sanitari e a un colloquio con esperti”. Nonostante il proliferare di bordelli – a breve aprirà anche il più grande d’Europa nella zona di Saarbrücken, al confine con la Francia, una posizione strategica anche per attrarre turismo sessuale – “I controlli dei sanitari e della polizia purtroppo sono ancora pochi, non abbastanza per evitare casi di sfruttamento, estorsione o mancato rispetto delle norme d’igiene”. L’innalzamento dell’età a 21 anni cercherà di limitare anche i casi di giovanissime immigrate, soprattutto dall’Est Europa con poca esperienza nel mondo del lavoro e scarso se non nulla reddito. Una condizione che può indurre queste ragazze a vendere il proprio corpo. Con la libera circolazione di rumeni e bulgari sul territorio tedesco dal primo gennaio scorso, si registra anche il rischio che sempre più immigrate possano dedicarsi alla prostituzione.
Il 26 febbraio il parlamento europeo ha approvato la risoluzione non vincolante basata sul “report Honeyball” che indica ai Paesi dell’Unione come approcciarsi al tema. Il testo sostiene che il modo più efficace per ridurre i casi di sfruttamento sia quello di adottare il cosiddetto “modello nordico”, ossia quello applicato in Svezia, Islanda, Norvegia e recentemente anche in Francia: penalizzare il cliente e non la prostituta. “Dal 1999 a oggi la prostituzione di strada in Svezia è dimezzata: solo poche donne scelgono liberamente di diventare prostitute. A parità di condizioni, quasi nessuna deciderebbe di vendere il proprio corpo”, dice Mary Honeyball, autrice del report approvato dal Parlamento Ue e portavoce del gruppo donne in Europa del partito laburista inglese. Una considerazione che non trova d’accordo Gerd Landsberg: C’è bisogno di maggiore regolamentazione, ma la messa al bando della prostituzione spingerebbe ancora più donne a lavorare nell’illegalità. E le conseguenze sarebbero ben peggiori”.
Insomma, La Germania è pronta a rivedere le proprie posizioni, ma non troppo. Che dietro ci siano convinzioni etiche, senso pratico o calcolo economico (il business della prostituzione da circa 14.5 miliardi di euro l’anno è difficile dirlo.
“Aumento dell’età minima e introduzione di una vera e propria licenza a pagamento rilasciata dal comune sia a chi lavora da indipendente che nei bordelli”. Per Gerd Landsberg, presidente dell’associazione che raggruppa le autorità tedesche locali sono questi gli strumenti giusti per contrastare criminalità e prostituzione forzata. “Assieme alla licenza, si deve obbligare la lavoratrice a sottoporsi a una serie di test sanitari e a un colloquio con esperti”. Nonostante il proliferare di bordelli – a breve aprirà anche il più grande d’Europa nella zona di Saarbrücken, al confine con la Francia, una posizione strategica anche per attrarre turismo sessuale – “I controlli dei sanitari e della polizia purtroppo sono ancora pochi, non abbastanza per evitare casi di sfruttamento, estorsione o mancato rispetto delle norme d’igiene”. L’innalzamento dell’età a 21 anni cercherà di limitare anche i casi di giovanissime immigrate, soprattutto dall’Est Europa con poca esperienza nel mondo del lavoro e scarso se non nulla reddito. Una condizione che può indurre queste ragazze a vendere il proprio corpo. Con la libera circolazione di rumeni e bulgari sul territorio tedesco dal primo gennaio scorso, si registra anche il rischio che sempre più immigrate possano dedicarsi alla prostituzione.
Il 26 febbraio il parlamento europeo ha approvato la risoluzione non vincolante basata sul “report Honeyball” che indica ai Paesi dell’Unione come approcciarsi al tema. Il testo sostiene che il modo più efficace per ridurre i casi di sfruttamento sia quello di adottare il cosiddetto “modello nordico”, ossia quello applicato in Svezia, Islanda, Norvegia e recentemente anche in Francia: penalizzare il cliente e non la prostituta. “Dal 1999 a oggi la prostituzione di strada in Svezia è dimezzata: solo poche donne scelgono liberamente di diventare prostitute. A parità di condizioni, quasi nessuna deciderebbe di vendere il proprio corpo”, dice Mary Honeyball, autrice del report approvato dal Parlamento Ue e portavoce del gruppo donne in Europa del partito laburista inglese. Una considerazione che non trova d’accordo Gerd Landsberg: C’è bisogno di maggiore regolamentazione, ma la messa al bando della prostituzione spingerebbe ancora più donne a lavorare nell’illegalità. E le conseguenze sarebbero ben peggiori”.
Insomma, La Germania è pronta a rivedere le proprie posizioni, ma non troppo. Che dietro ci siano convinzioni etiche, senso pratico o calcolo economico (il business della prostituzione da circa 14.5 miliardi di euro l’anno è difficile dirlo.
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