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Buche stradali: pochi soldi e gare al ribasso. Ecco perché è sempre emergenza

Italia, il Paese delle buche. Basta un temporale e sulle nostre strade l’asfalto si frantuma e forma crateri pericolosissimi per ciclisti e motociclisti, potenzialmente letali per le sospensioni delle auto e per i pneumatici, specialmente quelli ribassati o “run flat”. Danni ingenti di cui sarebbe responsabile l’Amministrazione pubblica, ma per cui è difficile, lungo e costoso ottenere rimborsi. Il problema delle buche, denuncia al fattoquotidiano.it il presidente dell’Associazione bitume asfalto strade Sitep, il professor Carlo Giavarini, sta nella scarsa manutenzione stradale, che al posto di essere programmata, insegue le emergenze. Un dato evidenzia quanto sia peggiorata la situazione: nel 2013, in Italia, sono stati usati solo 22 milioni di tonnellate di “conglomerato asfaltico”, contro i 43-44 milioni di tonnellate utilizzati negli anni pre-crisi, intorno al 2006-2007.

Secondo Giavarini si tratta di un problema di scarsi finanziamenti pubblici e di gare al massimo ribasso, anche del 50%, che non garantiscono l’esecuzione a regola d’arte dei lavori e che strangolano gli operatori del settore: l’anno scorso hanno chiuso un terzo delle aziende che operano sulla strada, spesso attraverso subappalti, così come tre raffinerie che si occupavano della produzione del bitume. Ma è anche un problema di cultura, denuncia Giavarini, perché abbandonare il manto stradale a se stesso è estremamente antieconomico nel lungo termine: “Se si rinnova periodicamente lo strato superficiale di asfalto, a intervalli di 8-12 anni a seconda delle percorrenze, la spesa è limitatissima. Se invece si lasciano ammalorare anche gli strati inferiori, il costo per il ripristino può essere anche venti volte superiore”.

Ma perché spesso le riparazioni durano poco? E su una strada appena asfaltata riaffiora la vecchia buca, esattamente nella stessa posizione? “Prima di intervenire, bisogna capire da cosa dipende il dissesto. Se per esempio si formano quelle crepe ramificate che noi chiamiamo ‘a pelle di coccodrillo’, significa che c’è stato un cedimento nel sottofondo, spesso dovuto a scavi in città. In quel caso, coprire con uno strato d’asfalto non risolve il problema”. Discorso analogo per le buche profonde, che andrebbero riparate a caldo e rullate e non semplicemente coperte. Il Comune di Milano sta sperimentando nuovi materiali, già usati in altri Paesi, che secondo l’Amministrazione contengono un bitume capace di penetrare nelle spaccature e di asciugare in soli 15 minuti. Giavarini ha confermato l’esistenza, anche in Italia, di diverse ditte specializzate nella produzione di asfalti a rapida essiccazione che utilizzano resine insieme al bitume: si tratta di materiali più costosi, ma spesso gli interventi hanno una durata maggiore. “Comunque, se la strada è fatta bene le buche non si devono formare”, sostiene il presidente della Sitep, citando il caso degli Stati Uniti, dove le strade asfaltate con il cosiddetto “perpetual pavement” sono garantite anche per cinquanta anni.

“In Italia abbiamo un patrimonio di 850.000 chilometri di strade asfaltate, di cui 500.000 km di strade principali, e lo stiamo perdendo”, ha detto il presidente Giavarini. La sua associazione ha calcolato che il valore dello strato di copertura delle strade italiane principali (escluse cioè quelle urbane, secondarie, vicinali e private) vale fra gli 800 e i 900 miliardi di euro. Più difficile la valorizzazione di queste stesse strade nel loro complesso, cioè compresi i ponti, le gallerie e tutte le opere strutturali che sostengono lo strato di asfalto, ma il valore dovrebbe essere superiore ai 6.000 miliardi di euro. “In altri Paesi, come la Svizzera e la Germania, la rete stradale è considerata un patrimonio, che come tale si svaluta e sul quale è necessario investire denaro pubblico in modo da non conservarne il valore”, conclude Giavarini. “In Italia non c’è questa cultura. Anche il ministro Maurizio Lupi, con cui abbiamo un buon dialogo, parla sempre di edilizia ma dimentica l’importanza di curare e valorizzare le nostre infrastrutture”.
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