PAVIA - Due indagati per uno sciopero della fame e della sete in cella che è costato la vita a un detenuto. Sono Iolanda Vitale, direttrice del carcere di Pavia, e Pasquale Alecci, direttore sanitario dell'istituto penitenziario. Nei loro confronti il sostituto procuratore Roberto Valli ipotizza il reato di omicidio colposo. È un atto che segue la presentazione di una denuncia da parte dell'avvocato Aldo Egidi, difensore di Sami Ben Garci Mbarka, il tunisino morto il 5 settembre nell'ospedale San Matteo di Pavia dove era stato ricoverato tre giorni prima in condizioni di salute tragiche: da cinquantuno giorni rifiutava di toccare cibo e di bere acqua.
La procura ha affidato a tre specialisti - un neurologo, un medico legale e un nutrizionista - una perizia per valutare, sulla base delle cartelle cliniche del carcere e dell'ospedale, possibili sottovalutazioni, ritardi o errori nella gestione del caso da parte delle autorità carcerarie. "Ad agosto ero in ferie ma da quel che mi risulta non ci sono stati ritardi - assicura la direttrice - è stato fatto tutto il possibile".
Mbarka, 42enne immigrato a Milano, stava per finire di scontare una pena per droga quando gli fu notificata una sentenza di condanna in appello a otto anni e sei mesi per violenza sessuale, sequestro di persona e violenza privata. Ad accusarlo era una sua ex amante marocchina: lui l'avrebbe sequestrata e violentata per cinque giorni, nell'aprile 2003, quando lei era già in attesa di un figlio concepito proprio con Mbarka. Il tunisino, però, si proclamava innocente. E dal 16 luglio decise di non mandare giù neanche un goccio d'acqua.
Da questo momento i tentativi dell'avvocato di salvare la vita al suo assistito si scontrano, nel pieno dell'estate, con i tempi della giustizia e dell'istituzione penitenziaria. Il 23 luglio l'avvocato scrive al detenuto per farlo desistere dallo sciopero e trasmette una copia della lettera, dai toni accorati, alla direttrice del carcere. La risposta arriva l'8 agosto ed è rassicurante: "Le condizioni del suo assistito sono costantemente monitorate dal personale medico qui in servizio".
Intanto, tra il 20 luglio e il 31 agosto, la casa circondariale scrive cinque note al ministero di Giustizia per chiedere il trasferimento del tunisino in una struttura dotata di centro diagnostico terapeutico. La risposta da Roma arriverà il 2 settembre: "Non esistono sul territorio italiano centri clinici penitenziari adibiti a custodire e curare persone detenute che effettuano lo sciopero della fame".
L'avvocato Egidi tenta anche (il 29 luglio) la carta della corte d'Appello: disponga d'urgenza una consulenza tecnica "circa le attuali condizioni di salute del detenuto e circa la possibilità che esse possano degenerare in maniera irreversibile" e gli dia i domiciliari. L'11 agosto, il legale, dopo aver visitato il tunisino, torna alla carica con la direttrice e le comunica che Mbarka è pronto a darsi fuoco. Ma il 25 Alecci, il direttore sanitario, assicura in una relazione che il detenuto, sottoposto a un colloquio medico per valutare la necessità di un trattamento sanitario obbligatorio, si è dimostrato, "fino ad oggi, in condizioni di intendere e di volere": niente Tso.
Intanto, però, Mbarka ha già perso ventuno chili e "deambula cercando sostegno". È ridotto a uno straccio e potrebbe aggravarsi, scrive il medico, ma dovrebbe essere trasferito altrove: a Pavia "in questo periodo sono assenti lo specialista cardiologo e lo psichiatra". Lui, aiutato dai compagni di cella, annuncia alla sua fidanzata: "Io sto muorendo. Sono dimagrito troppo, credimi, non riesco neanche ad alzarmi dal letto".
Solo il primo settembre il carcere dispone il trasferimento d'urgenza del tunisino in ospedale. Qui una psichiatra osserva che "non sussistono allo stato attuale elementi psicopatologici di rilievo né estremi per un Tso". Così gli agenti riportano in carcere il moribondo. Nuovo ricovero il giorno dopo. Troppo tardi: Mbarka non regge più e la notte del 5 agosto muore. Da poche ore è arrivata l'ordinanza della corte d'Appello. I domiciliari. Ritenendo "le condizioni di salute del detenuto appaiono attualmente sotto controllo sanitario".
---
Se hai trovato interessante l'articolo iscriviti ai feed via mail per rimanere sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog
La procura ha affidato a tre specialisti - un neurologo, un medico legale e un nutrizionista - una perizia per valutare, sulla base delle cartelle cliniche del carcere e dell'ospedale, possibili sottovalutazioni, ritardi o errori nella gestione del caso da parte delle autorità carcerarie. "Ad agosto ero in ferie ma da quel che mi risulta non ci sono stati ritardi - assicura la direttrice - è stato fatto tutto il possibile".
Mbarka, 42enne immigrato a Milano, stava per finire di scontare una pena per droga quando gli fu notificata una sentenza di condanna in appello a otto anni e sei mesi per violenza sessuale, sequestro di persona e violenza privata. Ad accusarlo era una sua ex amante marocchina: lui l'avrebbe sequestrata e violentata per cinque giorni, nell'aprile 2003, quando lei era già in attesa di un figlio concepito proprio con Mbarka. Il tunisino, però, si proclamava innocente. E dal 16 luglio decise di non mandare giù neanche un goccio d'acqua.
Da questo momento i tentativi dell'avvocato di salvare la vita al suo assistito si scontrano, nel pieno dell'estate, con i tempi della giustizia e dell'istituzione penitenziaria. Il 23 luglio l'avvocato scrive al detenuto per farlo desistere dallo sciopero e trasmette una copia della lettera, dai toni accorati, alla direttrice del carcere. La risposta arriva l'8 agosto ed è rassicurante: "Le condizioni del suo assistito sono costantemente monitorate dal personale medico qui in servizio".
Intanto, tra il 20 luglio e il 31 agosto, la casa circondariale scrive cinque note al ministero di Giustizia per chiedere il trasferimento del tunisino in una struttura dotata di centro diagnostico terapeutico. La risposta da Roma arriverà il 2 settembre: "Non esistono sul territorio italiano centri clinici penitenziari adibiti a custodire e curare persone detenute che effettuano lo sciopero della fame".
L'avvocato Egidi tenta anche (il 29 luglio) la carta della corte d'Appello: disponga d'urgenza una consulenza tecnica "circa le attuali condizioni di salute del detenuto e circa la possibilità che esse possano degenerare in maniera irreversibile" e gli dia i domiciliari. L'11 agosto, il legale, dopo aver visitato il tunisino, torna alla carica con la direttrice e le comunica che Mbarka è pronto a darsi fuoco. Ma il 25 Alecci, il direttore sanitario, assicura in una relazione che il detenuto, sottoposto a un colloquio medico per valutare la necessità di un trattamento sanitario obbligatorio, si è dimostrato, "fino ad oggi, in condizioni di intendere e di volere": niente Tso.
Intanto, però, Mbarka ha già perso ventuno chili e "deambula cercando sostegno". È ridotto a uno straccio e potrebbe aggravarsi, scrive il medico, ma dovrebbe essere trasferito altrove: a Pavia "in questo periodo sono assenti lo specialista cardiologo e lo psichiatra". Lui, aiutato dai compagni di cella, annuncia alla sua fidanzata: "Io sto muorendo. Sono dimagrito troppo, credimi, non riesco neanche ad alzarmi dal letto".
Solo il primo settembre il carcere dispone il trasferimento d'urgenza del tunisino in ospedale. Qui una psichiatra osserva che "non sussistono allo stato attuale elementi psicopatologici di rilievo né estremi per un Tso". Così gli agenti riportano in carcere il moribondo. Nuovo ricovero il giorno dopo. Troppo tardi: Mbarka non regge più e la notte del 5 agosto muore. Da poche ore è arrivata l'ordinanza della corte d'Appello. I domiciliari. Ritenendo "le condizioni di salute del detenuto appaiono attualmente sotto controllo sanitario".
---
Se hai trovato interessante l'articolo iscriviti ai feed via mail per rimanere sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog
0 commenti to " Altro morto in carcere. ribellione dei detenuti "