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LEGGE SULLE INTERCETTAZIONI, ARRIVA LO STOP DI NAPOLITANO

Il capo dello Stato, convoca il guardasigilli, al Quirinale. Senza modifiche niente firma. Il Presidente preoccupato per i rischi di incostituzionalità. Niente fiducia.

ROMA - Irragionevole, incostituzionale, gravemente dannosa per le indagini, foriera di scontri con una stampa già pronta allo sciopero del 13 luglio. La legge sulle intercettazioni, così com'è, non va. Napolitano poteva rinviarla alle Camere e dare uno schiaffo a Berlusconi. Ma fedele al motto che "gli strappi tra le istituzioni vanno sempre evitati" (almeno fin dove è possibile), il capo dello Stato l'ha fermata prima del suo ultimo passaggio al Senato.

Con un governo pronto a mettere la fiducia come aveva fatto alla Camera. Dopo un anno di ininterrotta moral suasion, dopo aver messo in allerta Fini e Schifani, il presidente della Repubblica ha compiuto il passo definitivo, ha chiamato al Quirinale il Guardasigilli Alfano. Che arriva lesto lesto.

Poco meno di un'ora di colloquio, accanto i suoi esperti giuridici, un esordio che non consente spiragli di trattativa: "Sono molto preoccupato e turbato per la tensione che si sta creando nel mondo della giustizia e della stampa su questa legge. I miei consiglieri mi spiegano che se dovesse passare così al Senato i vizi di palese incostituzionalità mi costringerebbero a fare un passo che di certo non vi sarebbe gradito". Il ministro della Giustizia, che si è sempre mostrato rispettoso del Colle, non tenta neppure una difesa. Alla fin fine sa che al premier questa legge non è mai piaciuta perché lui ne avrebbe voluta una molto più dura, con gli ascolti autorizzati solo per mafia e terrorismo. Nel rinviarla, soprattutto in ore in cui, per le voci su procure in azione, non vuole scontri con toghe, polizie, servizi, non soffrirà troppo. Napolitano prosegue: "È vero che avete intenzione di mettere la fiducia?".

Alfano si allarga in uno dei suoi sorrisi da bravo ragazzo: "Assolutamente no, presidente, il governo non pensa di farlo. Tutt'altro. Il testo non è blindato, siamo pronti a far tesoro del lavoro della commissione Giustizia. Certo, dopo che è rimasto un anno alla Camera, ci auguriamo che non succeda lo stesso al Senato". Il ghiaccio è rotto, si può pure ragionare dei dettagli e mettere sul tavolo i palesi dubbi di costituzionalità. Non uno, ma numerosi.

A cominciare da quella che il Quirinale considera una pessima, irragionevole, incostituzionale, norma transitoria, forse la buccia di banana più platealmente inaccettabile su cui scivola il ddl. "Le disposizioni della presente legge non si applicano ai procedimenti pendenti alla data della sua entrata in vigore". Doveva servire, è servita, per far dire all'avvocato del premier Niccolò Ghedini (e ora anche presidente della Consulta del Pdl sulla giustizia, sempre per tenere ben vivo il conflitto d'interessi) che "questa non è una legge ad personam, visto che non si applica ai processi in corso". E in effetti è così, ma con il rischio di un tal guazzabuglio tra chi godrà di norme più favorevoli e chi no, di giornalisti in galera e altri fuori, di intercettazioni pubblicate ed altre censurate, che l'incostituzionalità è manifesta. Dunque la norma va cambiata. Ma non solo. Il Colle punta il dito sugli "evidenti indizi di colpevolezza" necessari per ottenere un ascolto. Che ne sarà delle indagini contro gli ignoti (autori anche di omicidi), di quelle sui reati che poi portano a scoprire la mafia (usura, racket, rapine e tanti altri)? Giusto nelle stesse ore in cui Alfano è seduto di fronte a Napolitano, al Csm protestano i più noti procuratori antimafia.

Alle orecchie di Alfano risuonano le tante insistenze di Giulia Bongiorno, la presidente della commissione Giustizia della Camera e alter ego di Fini per la giustizia, che si è battuta nella sua maggioranza per "limitare i danni". Ma anche lei, di fronte ai falchi ghediniani e alfaniani che insistevano, ha dovuto piegare la testa sugli "evidenti indizi di colpevolezza" che adesso diventeranno "evidenti indizi di reato". E infine il capitolo sulla stampa, dal carcere (fino a un anno) per i giornalisti che pubblicano intercettazioni da distruggere e che fano protestare anche il Garante della privacy Pizzetti, alle supermulte contro gli editori, ai testi delle telefonate che non si potranno pubblicare neppure per riassunto, creando così una marchiana e irragionevole differenza tra una prova, gli ascolti, e un'altra, una lettera, un verbale d'interrogatorio che invece, quelli sì per riassunto, potranno essere pubblicati.

Non prende appunti Alfano, ma il terremoto che si abbatte sul suo ddl è intensissimo. Non di modifiche formali si tratta, ma di cambiamenti sostanziali. A Napolitano non era affatto piaciuto il grido dell'Anm, "sarà la morte della giustizia", ma i suoi rilievi sono la riprova che la legge stoppa indagini e cronaca giudiziaria. Il Guardasigilli se ne va tranquillizzando il presidente: "Non abbiamo fretta, seguiremo i lavori del Senato". Alfano sa che Berlusconi non vuole spingere l'acceleratore sulla giustizia. La decisione della Consulta sul lodo Alfano è alle viste, le procure incombono, il premier continua ad avere il dubbio che il Bari-gate sia esploso a ridosso del voto della Camera giusto sulle intercettazioni. Questo ddl e la famosa riforma costituzionale della giustizia possono aspettare. Alfano l'ha detto al presidente preoccupato di uno scontro estivo con le toghe: "I prossimi consigli dei ministri saranno dedicati all'economia. Io sono soddisfatto del mio lavoro. Domani (oggi, ndr.) entra in vigore la riforma del processo civile, in cui ho profondamente creduto ed è legge la sicurezza con le norme antimafia più forti da quando è morto Falcone. Che senso avrebbe una riforma costituzionale a metà luglio?". C'è tempo. Magari quando si saprà se la Consulta conferma o boccia il lodo Alfano.

Fonte: Repubblica.it

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