MILANO - Il canone non basta per coprire i costi del servizio pubblico. O si alza o la Rai rischia di compromettere la propria solidità patrimoniale. L'ultimatum arriva dalla Corte dei Conti, nella relazione sul bilancio della società televisiva dello Stato. La pubblicità, passata dai 942 milioni di euro del 2010 ai 647 milioni del 2012, è in forte calo e quanto versano i cittadini non copre i costi del servizio pubblico. A fronte di spese per garantire il servizio pari a 2,311 miliardi, i ricavi da canone sono stati di soli 1,813 miliardi. Il buco è di 498 milioni di euro, sceso a 346 milioni solo grazie a un po' di pubblicità residua.
Per sopravvivere, la Rai non ha ridotto le spese, ma ha chiesto al ministero dello Sviluppo economico 2,3 miliardi di euro di arretrati, pari agli extracosti generati per garantire i servizi di base. Il buco è stato accumulato negli anni che vanno dal 2005, ovvero dall'anno in cui la società per legge ha dovuto avere una gestione separata tra servizio pubblico e attività privata, ad oggi. Il governo, dal canto suo, si è voltato dall'altra parte e non ha mai risposto. Nel 2005, l'Unione europea ha imposto per evitare distorsioni nel mercato televisivo
che nel bilancio della Rai tutto ciò che è mandato in onda nell'interesse dei cittadini venga pagato con i proventi del balzello annuale chiesto a chi possiede un piccolo schermo. Il resto deve essere sostenuto dalla pubblicità per non creare una competizione sleale nei confronti delle tv private. I conti però non tornano.
L'ultima richiesta formale della Rai al governo risale al 2010, ma da allora il buco si è allargato fino agli attuali 2,3 miliardi di euro. La Corte dei Conti nella sua relazione ha sollevato di nuovo il problema, facendo notare non troppo velatamente che il canone dovrebbe essere commisurato ai costi dell'azienda. In poche parole, senza una riduzione delle spese o un intervento magnanimo del ministero, la tassa deve essere alzata. L'azienda invece non è intervenuta e anche per il 2013 ha fissato il canone (113,5 euro) "in relazione alle dinamiche inflattive e non tanto sulla base del principio di copertura dei costi del servizio pubblico”, si lamenta la Corte dei Conti. Nell'arco di nove anni (dal 2002 al 2012) il canone è aumentato di "soli" 18,2 euro, con un incremento annuo dell'1,7%.
"Il sistema - aggiunge la magistratura contabile - risulta ulteriormente aggravato dal fatto che alla determinazione del canone non seguono i ricavi complessivi attesi stante l’alto tasso di evasione dal relativo pagamento". Secondo le stime, l'evasione nel 2012 ammonta a 600 milioni di euro, pari più o meno all'attuale raccolta pubblicitaria della Rai (670 milioni): il tasso di evasione è del 27% contro l’8% della media europea. I mancati introiti sarebbero sufficienti a coprire il buco nei conti del servizio pubblico e a ripianare il bilancio della Rai che complessivamente nel 2012 ha registrato una perdita di 245 milioni di euro.
In tempi di crisi, e con le risorse pubblicitarie in forte discesa, senza un intervento del governo sul canone la società rischia di finire in bancarotta. "In questa difficile congiuntura, più che in ogni altra passata circostanza, diventa inderogabile per la concessionaria che il contratto di servizio per il triennio 2013-2015 venga negoziato dando effettiva attuazione a principi già presenti nei precedenti contratti. Più in particolare, al principio secondo il quale il finanziamento delle attività di servizio pubblico deve essere garantito con carattere di certezza e congruità per il triennio di vigenza, attraverso il canone radiotelevisivo". Per la gioia di tutti i cittadini.
Per sopravvivere, la Rai non ha ridotto le spese, ma ha chiesto al ministero dello Sviluppo economico 2,3 miliardi di euro di arretrati, pari agli extracosti generati per garantire i servizi di base. Il buco è stato accumulato negli anni che vanno dal 2005, ovvero dall'anno in cui la società per legge ha dovuto avere una gestione separata tra servizio pubblico e attività privata, ad oggi. Il governo, dal canto suo, si è voltato dall'altra parte e non ha mai risposto. Nel 2005, l'Unione europea ha imposto per evitare distorsioni nel mercato televisivo
che nel bilancio della Rai tutto ciò che è mandato in onda nell'interesse dei cittadini venga pagato con i proventi del balzello annuale chiesto a chi possiede un piccolo schermo. Il resto deve essere sostenuto dalla pubblicità per non creare una competizione sleale nei confronti delle tv private. I conti però non tornano.
L'ultima richiesta formale della Rai al governo risale al 2010, ma da allora il buco si è allargato fino agli attuali 2,3 miliardi di euro. La Corte dei Conti nella sua relazione ha sollevato di nuovo il problema, facendo notare non troppo velatamente che il canone dovrebbe essere commisurato ai costi dell'azienda. In poche parole, senza una riduzione delle spese o un intervento magnanimo del ministero, la tassa deve essere alzata. L'azienda invece non è intervenuta e anche per il 2013 ha fissato il canone (113,5 euro) "in relazione alle dinamiche inflattive e non tanto sulla base del principio di copertura dei costi del servizio pubblico”, si lamenta la Corte dei Conti. Nell'arco di nove anni (dal 2002 al 2012) il canone è aumentato di "soli" 18,2 euro, con un incremento annuo dell'1,7%.
"Il sistema - aggiunge la magistratura contabile - risulta ulteriormente aggravato dal fatto che alla determinazione del canone non seguono i ricavi complessivi attesi stante l’alto tasso di evasione dal relativo pagamento". Secondo le stime, l'evasione nel 2012 ammonta a 600 milioni di euro, pari più o meno all'attuale raccolta pubblicitaria della Rai (670 milioni): il tasso di evasione è del 27% contro l’8% della media europea. I mancati introiti sarebbero sufficienti a coprire il buco nei conti del servizio pubblico e a ripianare il bilancio della Rai che complessivamente nel 2012 ha registrato una perdita di 245 milioni di euro.
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