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L'azzardo è come il fumo basta agli spot sui giochi

GIOCA IL GIUSTO, invito della réclame di Sisal, non basta più. Dopo l'invasione nelle ultime due stagioni di slot machine, poker on line e giochi da casinò accessibili a tutti, dopo lo sdoganamento del gioco d'azzardo (nuova frontiera del recupero tasse) da parte dei Monopoli, in Italia si sta diffondendo un sentimento di reazione contro lo Stato biscazziere.

Ieri il ministro del "sociale" con delega per le dipendenze, Andrea Riccardi, ha sintetizzato la reazione diffondendo il suo pensiero: "Il fenomeno del gioco d'azzardo sta assumendo in alcuni casi i contorni di una vera e propria dipendenza psicologica", ha detto, "in un momento di difficoltà economica il miraggio di una ricchezza facile e immediata ha mandato in rovina molte persone. Particolarmente esposti sono i giovani, i disoccupati e le famiglie che non riescono ad arrivare alla fine del mese, gli anziani soli".

Quindi, il ministro, ha indicato cosa farà: "Ho chiesto ai miei uffici di studiare il problema, piuttosto complesso, e l'obiettivo è di arrivare al divieto di pubblicità, come nel caso delle sigarette o a una ferrea regolamentazione degli spot".

Oggi in Senato si aprirà la discussione e il ministro si riserva "la possibilità di intervenire direttamente". Lo Stato, "che incassa molte risorse da questo settore, non può non occuparsi delle categorie più a rischio e dei drammi sociali non marginali che il gioco d'azzardo produce". Lo chiama
ancora "d'azzardo", Riccardi, anche se è tutto legale.

L'ultima relazione della Commissione antimafia ha indicato un numero impressionante di ludopatici in Italia: un milione di dipendenti che, si calcola, coinvolgono nei loro affanni sei milioni di persone. Nel paese ci sono 400 mila macchine da gioco, il 15% in più degli altri paesi europei. E spesso la criminalità "impone il controllo del territorio attraverso i gestori". In sette anni scommesse e puntate lecite hanno cavato agli italiani 309 miliardi di euro, solo nel 2012 se ne prevedono altri cento.

iLGioco italiano è una macchina da guerra, e fa vittime tutti i giorni. Il segretario generale dei Sert italiani, Fausto D'Egidio, spiega che, nonostante solo le Regioni Toscana e Veneto riconoscano la malattia da compulsione da gioco, nei piccoli paesi è questo il problema più pressante subito dopo l'occupazione. Gli italiani progressivamente hanno abbandonato le sfide sedute, lotto e lotterie, non a caso in calo, per lanciarsi nella solitudine dei video più aggressivi: le videolotteries e i casinò games.

Nel corso dell'ultima stagione gli enti locali attenti hanno preso iniziative in proprio. La Provincia di Trento ha votato, sinistra e destra insieme, la delibera "Mai più licenze vicino a scuole o centri giovanili". A Trento città ci sono 15 mila giocatori abituali, duecento sono in cura. Alcuni gestori di bar, avvistata la profondità del problema, hanno tolto le slot machine dal locale rinunciando a un incasso annuale da 20 mila euro.

Iniziative contro i videopoker sono state avviate nei comuni di Empoli e Reggio Emilia mentre Pavia si è presa la fama della Las Vegas del Nord: ogni persona, in media, nel 2011 ha puntato 2.900 euro. In questa che, ora abbracciata da un ministro cattolico, inizia a somigliare a una crociata difensiva, si è inserita anche una multi-tv su internet, Streamit.

I suoi amministratori si sono schierati frontalmente: "Via la pubblicità e i canali di poker dal nostro network, sono contro i giovani e le famiglie". Gianni Armetta, presidente della browser tv, ha aggiunto: "In Italia la legalizzazione del poker cash è stato un provvedimento pericoloso, in alcuni stati l'hanno vietato: per chi ha problemi di controllo il contraccolpo finanziario può essere fortissimo, improvviso e destabilizzante". Oggi, ogni dieci spot televisivi, tre pubblicizzano giochi e scommesse.


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Fonte: Repubblica.it

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