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Le nuove accuse al ministro Romano «Il boss disse: è nelle nostre mani»

«Non c'è mafia senza politica», assicura l'ultimo pentito di Cosa Nostra, Stefano Lo Verso, già vivandiere e autista di Bernardo Provenzano. Lui è di Ficarazzi, paese alle porte di Palermo e attaccato a Villabate, la cittadina della famiglia Mandalà: il padre Nino condannato in primo grado per associazione mafiosa e il figlio Nicola ergastolano; si occuparono della trasferta di Provenzano a Marsiglia, con la complicità di Francesco Campanella, ex vicepresidente del consiglio comunale e oggi collaboratore di giustizia.

Un giorno del 2003, racconta Lo Verso, per risolvere un problema burocratico col Comune a Villabate andò a parlare con «l'uomo d'onore» Nicola Mandalà: «Mi promise che si sarebbe attivato, poi allargò il discorso e iniziò a parlare di argomenti politici. Mi disse che non c'erano problemi neppure a livello regionale e nazionale. Affermò: "Non abbiamo nessun problema neppure con i partiti del centro, abbiamo nelle mani Saverio Romano e Totò Cuffaro"». Cuffaro, ex governatore udc della Sicilia, sconta in carcere la condanna per il favoreggiamento di Cosa Nostra; Romano è stato nominato a marzo ministro dell'Agricoltura da Berlusconi dopo il decisivo appoggio al governo del suo gruppo di «Responsabili», fuoriusciti dall'Udc e altri gruppi. All'epoca era indagato (circostanza che suscitò le pubbliche perplessità del presidente della Repubblica sul suo ingresso nel governo) e ora è imputato per concorso in associazione mafiosa. Al giudice che dovrà decidere sulla richiesta di fare il processo la Procura di Palermo ha inviato i nuovi verbali di Lo Verso, così come alla corte d'appello a cui i pubblici ministeri chiedono un giudizio su Cuffaro per lo stesso reato, concorso con la mafia, dopo il proscioglimento in primo grado.

Sostiene ancora il pentito Lo Verso che «Provenzano mi ha in parte confermato le stese notizie che avevo avuto da Mandalà». Il padrino corleonese, riferisce l'ex mafioso, gli parlò pure «di rapporti con la politica e le istituzioni». La prima volta lo fece nel gennaio 2004: «Mi rivelò la sua identità confermando i sospetti che io nel mio intimo avevo già cominciato a nutrire. Notando l'evidente mio timore, dovuto al fatto che tenevo in casa un latitante di quella importanza, il Provenzano mi tranquillizzò dicendomi "stai tranquillo, sono protetto dai politici e dalle autorità. Non ti preoccupare, a me non mi cerca nessuno"». A proposito di protezioni, l'ex superlatitante consegnò al pentito una delle sue massime: «Meglio uno sbirro amico che un amico sbirro». Come dire che le connivenze coltivate nelle istituzioni sono più convenienti di «uomini d'onore» pronti a fare la spia.
Provenzano parlò a Lo Verso pure di Cuffaro: «Deve mantenere gli accordi, Nicola Mandalà lo sa», mentre su Saverio Romano il pentito aggiunge le confidenze dell'ex «re della Sanità privata» Michele Aiello, condannato per mafia: «Si lamentava del Borzacchelli (ex deputato regionale udc, ndr ) definendolo "la mia rovina", e attribuiva la responsabilità dell'ascesa del Borzacchelli a Saverio Romano che, mi disse, "voleva a tutti i costi che fossero eletti Borzacchelli e il candidato di Mandalà, Piero Acanto". Proprio per questo il Romano aveva creato la lista Biancofiore». E riferisce che a confermare ciò che dell'attuale ministro gli disse il boss Mandalà fu anche Vincenzo Paparopoli, un altro «favoreggiatore» di Provenzano: «Commentando le dichiarazioni di Francesco Campanella disse che erano veritiere, e che i contatti tra la famiglia mafiosa di Villabate e l'onorevole Romano erano intermediati da Nino Bruno, cugino di Nicola Rizzo».

Dopo che il giudice dell'indagine preliminare ha imposto l'imputazione a suo carico, Saverio Romano è accusato di avere «consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno e al rafforzamento dell'associazione mafiosa Cosa Nostra, mettendo a disposizione il proprio ruolo così contribuendo alla realizzazione del programma criminoso dell'organizzazione, tendente all'acquisizione di poteri di influenza sull'operato di organismi politici e amministrativi». Nelle ultime settimane, il pentito Francesco Campanella che già aveva parlato di Romano, ha aggiunto nuove deposizioni, inviate al giudice insieme a quelle di Lo Verso. Il ministro bolla gli ultimi elementi raccolti dall'accusa come «inutili ma ricorrenti ad orologeria». La decisione sul rinvio a giudizio è attesa per la fine di ottobre.

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Fonte: Corriere.it

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