ROMA - Ora che il Governatore è caduto, le domande cercano altre risposte. Esiste un doppio fondo dell'affaire Marrazzo? Il condominio di via Gradoli è o è stata una matrioska del ricatto? Insomma, esistono davvero altri politici presi al laccio? E se così è, anche loro hanno pagato un prezzo per la loro vulnerabilità?
Fonti qualificate in Procura sgranano gli occhi: "Politici? Per carità. Un falso". Da liquidare né più e né meno come l'immondizia velenosa che da ieri ha preso a frullare nelle redazioni dei quotidiani. Una "colonna infame" di dodici nomi, priva di un qualsiasi straccio di riscontro negli atti di indagine, un "chi più ne ha, più ne metta" di uomini della politica e dell'informazione da squartare.
Un pantano che dà l'idea dei nervi che questa storia ha scoperto. Dell'occasione che apre per qualche resa dei conti brutale. Con al centro i Carneade della "squadretta" della stazione Trionfale: il maresciallo Nicola Testini, i carabinieri Luciano Simeone, Carlo Tagliente e Antonio Tamburrino (da giovedì scorso detenuti a Regina Coeli in regime di massima sicurezza, massima sorveglianza visiva e assoluto isolamento). E di cui conviene tornare a parlare, perché, al netto dei veleni, quello che si comincia a percepire sul conto di almeno tre dei quattro militari (Testini, Simeone e Tagliente) non è proprio rassicurante. Né residuale.
Ce li hanno sin qui raccontati come avventizi del ricatto. Poveri disgraziati in divisa, non poi così astuti, abbacinati da una stangata da 200 mila euro (il prezzo chiesto alla "Mondadori" per il video del Governatore) che non sono riusciti a portare fino in fondo. Al gip che sabato scorso li interrogava, si sono dichiarati "vittime di un complotto" (Dio solo sa ordito da chi), che, alla fine, li ha inceneriti insieme a chi volevano strozzare (Piero Marrazzo). Eppure, si comincia a scoprire ora, Marrazzo non era esattamente il loro primo lavoretto. Buttare giù le porte delle alcove dei transessuali che gravitano tra via Gradoli e via Due Ponti per ripulirli di contanti era una routine. E da almeno un paio di anni. Lo racconta "Sylvia" (nella testimonianza che trovate in questa pagina). Lo ha raccontato confidenzialmente agli uomini del Ros dell'Arma almeno un altro viado. Sono loro - ha detto - che prima dell'estate di quest'anno hanno ripulito un altro cliente di riguardo sorpreso in mutande nel condominio di via Gradoli 96. Che, nello stesso periodo, sono passati in casa di un trans per portarsi via un personal computer. Sono loro che, con una certa frequenza, alleggerivano i viados della coca appena consegnata dai pusher.
Rapinatori seriali, dunque. Ma non solo. Perché - dicono ancora i trans - del gran traffico di politici e uomini di nome in quel condominio, la "squadretta" ha sempre saputo. E se è vero che ai ricordi dei viado va oggi fatta la tara del risentimento e della straordinaria occasione di accreditarsi come testimoni di un'inchiesta che può valergli un permesso di soggiorno (la legge prevede che un clandestino possa essere regolarizzato per motivi di giustizia), è altrettanto vero che a dare verosimiglianza e credito a questa circostanza sono stati gli stessi militari arrestati giovedì della scorsa settimana. In tre (Testini, Simeone e Tagliente), infatti, dicono di aver ricevuto il video di Marrazzo da tale Gianguarino Cafasso, un tipo che se ne è andato per infarto nella stanza di un albergo sulla Salaria il mese scorso. Che dicono fosse il "pappone" di via Gradoli 96. Che dei letti di quel condominio conoscesse ogni segreto. Soprattutto che fosse il regista di una collezione di video del ricatto politico.
Non ha importanza ora che questo racconto con il "morto" non sia stato ritenuto credibile dal gip. Che l'ordinanza l'abbia liquidato come mossa che "appare mero espediente difensivo" utile ai carabinieri per non ammettere di aver girato in prima persona il video di Marrazzo. Quel che importa è che, nel resuscitare la memoria di Cafasso, almeno tre dei quattro militari ammettano, di fatto, di aver avuto accesso alla fabbrica del ricatto. Di cui Marrazzo, evidentemente, viene a un certo punto considerato il pezzo più pregiato. Pur non essendone il solo. Testini, Simeone e Tagliente sembrano infatti custodire altri segreti. Una fonte qualificata e attendibile che chiede l'anonimato riferisce che almeno il maresciallo Testini abbia confidato in tempi non lontani di aver avuto conoscenza o addirittura di aver potuto mettere mano ad altri video con almeno due uomini politici di un qualche nome. Due ex ministri. Una circostanza che il militare risulta non avere né messo a verbale e nemmeno evocato nell'interrogatorio di sabato scorso, che fonti inquirenti dicono di ignorare, ma che fa capire come l'indagine su via Gradoli stia accarezzando ancora solo la superficie dello stagno in cui è stato tirato a fondo Piero Marrazzo.
Fonte: Repubblica.it
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Fonti qualificate in Procura sgranano gli occhi: "Politici? Per carità. Un falso". Da liquidare né più e né meno come l'immondizia velenosa che da ieri ha preso a frullare nelle redazioni dei quotidiani. Una "colonna infame" di dodici nomi, priva di un qualsiasi straccio di riscontro negli atti di indagine, un "chi più ne ha, più ne metta" di uomini della politica e dell'informazione da squartare.
Un pantano che dà l'idea dei nervi che questa storia ha scoperto. Dell'occasione che apre per qualche resa dei conti brutale. Con al centro i Carneade della "squadretta" della stazione Trionfale: il maresciallo Nicola Testini, i carabinieri Luciano Simeone, Carlo Tagliente e Antonio Tamburrino (da giovedì scorso detenuti a Regina Coeli in regime di massima sicurezza, massima sorveglianza visiva e assoluto isolamento). E di cui conviene tornare a parlare, perché, al netto dei veleni, quello che si comincia a percepire sul conto di almeno tre dei quattro militari (Testini, Simeone e Tagliente) non è proprio rassicurante. Né residuale.
Ce li hanno sin qui raccontati come avventizi del ricatto. Poveri disgraziati in divisa, non poi così astuti, abbacinati da una stangata da 200 mila euro (il prezzo chiesto alla "Mondadori" per il video del Governatore) che non sono riusciti a portare fino in fondo. Al gip che sabato scorso li interrogava, si sono dichiarati "vittime di un complotto" (Dio solo sa ordito da chi), che, alla fine, li ha inceneriti insieme a chi volevano strozzare (Piero Marrazzo). Eppure, si comincia a scoprire ora, Marrazzo non era esattamente il loro primo lavoretto. Buttare giù le porte delle alcove dei transessuali che gravitano tra via Gradoli e via Due Ponti per ripulirli di contanti era una routine. E da almeno un paio di anni. Lo racconta "Sylvia" (nella testimonianza che trovate in questa pagina). Lo ha raccontato confidenzialmente agli uomini del Ros dell'Arma almeno un altro viado. Sono loro - ha detto - che prima dell'estate di quest'anno hanno ripulito un altro cliente di riguardo sorpreso in mutande nel condominio di via Gradoli 96. Che, nello stesso periodo, sono passati in casa di un trans per portarsi via un personal computer. Sono loro che, con una certa frequenza, alleggerivano i viados della coca appena consegnata dai pusher.
Rapinatori seriali, dunque. Ma non solo. Perché - dicono ancora i trans - del gran traffico di politici e uomini di nome in quel condominio, la "squadretta" ha sempre saputo. E se è vero che ai ricordi dei viado va oggi fatta la tara del risentimento e della straordinaria occasione di accreditarsi come testimoni di un'inchiesta che può valergli un permesso di soggiorno (la legge prevede che un clandestino possa essere regolarizzato per motivi di giustizia), è altrettanto vero che a dare verosimiglianza e credito a questa circostanza sono stati gli stessi militari arrestati giovedì della scorsa settimana. In tre (Testini, Simeone e Tagliente), infatti, dicono di aver ricevuto il video di Marrazzo da tale Gianguarino Cafasso, un tipo che se ne è andato per infarto nella stanza di un albergo sulla Salaria il mese scorso. Che dicono fosse il "pappone" di via Gradoli 96. Che dei letti di quel condominio conoscesse ogni segreto. Soprattutto che fosse il regista di una collezione di video del ricatto politico.
Non ha importanza ora che questo racconto con il "morto" non sia stato ritenuto credibile dal gip. Che l'ordinanza l'abbia liquidato come mossa che "appare mero espediente difensivo" utile ai carabinieri per non ammettere di aver girato in prima persona il video di Marrazzo. Quel che importa è che, nel resuscitare la memoria di Cafasso, almeno tre dei quattro militari ammettano, di fatto, di aver avuto accesso alla fabbrica del ricatto. Di cui Marrazzo, evidentemente, viene a un certo punto considerato il pezzo più pregiato. Pur non essendone il solo. Testini, Simeone e Tagliente sembrano infatti custodire altri segreti. Una fonte qualificata e attendibile che chiede l'anonimato riferisce che almeno il maresciallo Testini abbia confidato in tempi non lontani di aver avuto conoscenza o addirittura di aver potuto mettere mano ad altri video con almeno due uomini politici di un qualche nome. Due ex ministri. Una circostanza che il militare risulta non avere né messo a verbale e nemmeno evocato nell'interrogatorio di sabato scorso, che fonti inquirenti dicono di ignorare, ma che fa capire come l'indagine su via Gradoli stia accarezzando ancora solo la superficie dello stagno in cui è stato tirato a fondo Piero Marrazzo.
Fonte: Repubblica.it
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