Il consigliere regionale Zappalà si dimette dalla politica. E' in carcere accusato di aver tenuto rapporti con la cosca Pelle. Solo uno degli ultimi particolari di una vicenda nerissima che a Reggio Calabria si traduce in un mix devastante composto da mafia, politica, massoneria e servi segreti deviati
Politica e ‘ndrangheta. Ovvero intrecci pericolosi. Affari, convenienze, corruzione e altro. Il tutto giocato sullo scacchiera calabrese. Le ultime inchieste hanno svelato la trama, chiarito particolari, fatto luce su protagonisti e gregari. L’ultimo, in ordine di tempo, è il consigliere regionale del Popolo della Libertà Santi Zappalà che pochi giorni fa si è dimesso. Lo ha fatto con una lettera partita dal carcere dove è recluso e indirizzata al presidente del Consiglio Regionale rassegnando le sue dimissioni irrevocabili. In prigione, lui ci finisce nel dicembre scorso con accuse pesanti: concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio. Zappalà, quarto degli eletti nella lista del Pdl con 11052 voti, era uno dei candidati a Palazzo Campanella che, durante la campagna elettorale del marzo scorso, si è recato in pellegrinaggio a Bovalino. Una tappa obbligata quella a casa del boss di San Luca Giuseppe Pelle. Una casa diventata, in quelle settimane, una sorta di santuario dove chiedere voti in cambio di appalti.
Il Ros lo aveva filmato mentre, a bordo della sua Alfa 159, arrivava nel paesino della Locride intercettando anche le conversazioni con il mammasantissima il quale ha garantito il suo appoggio e quello della potente famiglia mafiosa dei Pelle. “Da parte nostra, dottore, ci sarà il massimo impegno”, dice il padrino. Un impegno non disinteressato certo. Se il politico chiede i voti, la cosca pretende una contropartita. Un “do ut des” insomma. Tradotto: voti uguale appalti. Ed è un imprenditore, presente all’incontro tra il mafioso e il politico a spiegare a quest’ultimo le condizioni del “patto elettorale”: “Quando sposo una causa e quindi io e gli amici miei diamo il massimo, nello stesso tempo noi desidereremmo avere quell’attenzione per come poi ce la accattiviamo, per simpatia ma per amicizia prima di tutto”.
Al primo Consiglio regionale, diventeranno operative le dimissioni di Zappalà per il quale il Tribunale della libertà non ha riconosciuto il concorso esterno in associazione mafiosa, confermando invece il voto di scambio. Reato per il quale Zappalà resta in carcere mentre il suo posto a Palazzo Campanella lo prenderà il primo dei non eletti del Pdl, Gesuele Vilasi già consigliere regionale uscente.
Il nome di Vilasi compare nell’informativa dell’inchiesta “Meta” e precisamente nell’intercettazione telefonica tra Natale Bueti e il boss Cosimo Alvaro, oggi latitante. Siamo al 16 ottobre 2006, a pochi mesi dalle elezioni comunali, quando il capocosca originario di Sinopoli racconta a Bueti come fosse andato il pranzo per i cinquant’anni di matrimonio dei genitori degli imprenditori Barbieni. Pranzo, tenuto in un ristorante di Gallico, a cui ha partecipato anche l’ex sindaco di Reggio Giuseppe Scopelliti, oggi governatore della Calabria. Il boss, allora, elenca gli ospiti di quella cena imbarazzante. “C’era Marturano, c’era l’assessore Vilasi della Provincia…”
Una bella festa alla quale tutti (imprenditori in odor di mafia, boss e politici) hanno partecipato allegramente. Quando i giornali pubblicarono la notizia, Vilasi si affrettò con l’avvocato in Procura dove smentì la sua presenza al fianco del boss Cosimo Alvaro. Mai una smentita da parte del governatore Scopelliti il quale, a dirla tutta, confermò la sua presenza al pranzo nel corso di un’intervista al “Fatto Quotidiano.
La stessa intervista andata in onda qualche giorno fa durante la trasmissione “Presa diretta” di Riccardo Iacona contro il quale il capogruppo del Pdl Luigi Fedele ha preparato una richiesta per inserire, alla prossima riunione del Consiglio regionale, un ordine del giorno “tendente a stigmatizzare il reiterato comportamento della trasmissione televisiva”. Richiesta bipartisan che vede tra i firmatari anche Nicola Adamo, uno dei ras del Pd messo alla porta nei mesi scorsi dal commissario regionale del Democrat.
Un atteggiamento stizzito e sofferente della politica nei confronti di chi parla, carte alla mano, di indagini giudiziarie. La stessa politica che in Calabria non si è indignata (e non si indigna) per il terremoto dell’inchiesta “Meta”, coordinata dal sostituto procuratore della Dda Giuseppe Lombardo, che non riguarda solo quella che il boss Cosimo Alvaro definisce “una bella festa compare”, ma tocca i nervi scoperti di una zona grigia che, in riva allo Stretto, trema per le dichiarazioni dei neo pentiti Roberto Moio e Antonino Lo Giudice che, proprio in queste settimane, pare che stiano riferendo ai magistrati della Distrettuale non solo del loro passato criminale, ma anche di quella miscela esplosiva che miscela ‘ndrangheta, politica, massoneria e servizi deviati. Pezzi infedeli dello Stato come il capitano dei carabinieri Saverio Spadaro Tracuzzi accusato di aver favorito la cosca mafiosa Lo Giudice circa le indagini che la riguardavano ricevendo in cambio regali importanti. O come il commercialista Giovanni Zumbo, informatore delle cosche Ficara e Pelle, già amministratore giudiziario di beni confiscati alla ‘ndrangheta ed ex collaboratore di Alberto Sarra, oggi sottosegretario della giunta Scopelliti.
Proprio quest’ultimo, ritornando all’inchiesta Meta, se da una parte ha confermato di aver partecipato a quel pranzo del quale ignorava chi fossero gli altri invitati, dall’altro non ha mai speso una parola circa i rapporti tra i suoi due fedelissimi consiglieri comunali Michele Marcianò e Manlio Flesca con il boss Alvaro e gli imprenditori Barbieri. E neanche sulle intercettazioni in cui viene citato il fratello Tino o sui suoi viaggi a Milano dove Scopelliti, accompagnato da un altro fedelissimo assessore, ha incontrato il boss Paolo Martino ritenuto il punto di riferimento della cosca De Stefano in Lombardia, il “ministro del tesoro” del clan degli arcoti.
Su tutto questo gli “ordini di scuderia” sono chiari: fare quadrato. Ed ecco che, in Calabria, il Pdl e gli ex Pd vorrebbero discutere di “Presa diretta” e del giornalista Riccardo Iacona, colpevole “di aver ficcato il naso” dove neanche i giornalisti calabresi hanno il permesso.
di Lucio Musolino
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Fonte: Il FQ
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Politica e ‘ndrangheta. Ovvero intrecci pericolosi. Affari, convenienze, corruzione e altro. Il tutto giocato sullo scacchiera calabrese. Le ultime inchieste hanno svelato la trama, chiarito particolari, fatto luce su protagonisti e gregari. L’ultimo, in ordine di tempo, è il consigliere regionale del Popolo della Libertà Santi Zappalà che pochi giorni fa si è dimesso. Lo ha fatto con una lettera partita dal carcere dove è recluso e indirizzata al presidente del Consiglio Regionale rassegnando le sue dimissioni irrevocabili. In prigione, lui ci finisce nel dicembre scorso con accuse pesanti: concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio. Zappalà, quarto degli eletti nella lista del Pdl con 11052 voti, era uno dei candidati a Palazzo Campanella che, durante la campagna elettorale del marzo scorso, si è recato in pellegrinaggio a Bovalino. Una tappa obbligata quella a casa del boss di San Luca Giuseppe Pelle. Una casa diventata, in quelle settimane, una sorta di santuario dove chiedere voti in cambio di appalti.
Il Ros lo aveva filmato mentre, a bordo della sua Alfa 159, arrivava nel paesino della Locride intercettando anche le conversazioni con il mammasantissima il quale ha garantito il suo appoggio e quello della potente famiglia mafiosa dei Pelle. “Da parte nostra, dottore, ci sarà il massimo impegno”, dice il padrino. Un impegno non disinteressato certo. Se il politico chiede i voti, la cosca pretende una contropartita. Un “do ut des” insomma. Tradotto: voti uguale appalti. Ed è un imprenditore, presente all’incontro tra il mafioso e il politico a spiegare a quest’ultimo le condizioni del “patto elettorale”: “Quando sposo una causa e quindi io e gli amici miei diamo il massimo, nello stesso tempo noi desidereremmo avere quell’attenzione per come poi ce la accattiviamo, per simpatia ma per amicizia prima di tutto”.
Al primo Consiglio regionale, diventeranno operative le dimissioni di Zappalà per il quale il Tribunale della libertà non ha riconosciuto il concorso esterno in associazione mafiosa, confermando invece il voto di scambio. Reato per il quale Zappalà resta in carcere mentre il suo posto a Palazzo Campanella lo prenderà il primo dei non eletti del Pdl, Gesuele Vilasi già consigliere regionale uscente.
Il nome di Vilasi compare nell’informativa dell’inchiesta “Meta” e precisamente nell’intercettazione telefonica tra Natale Bueti e il boss Cosimo Alvaro, oggi latitante. Siamo al 16 ottobre 2006, a pochi mesi dalle elezioni comunali, quando il capocosca originario di Sinopoli racconta a Bueti come fosse andato il pranzo per i cinquant’anni di matrimonio dei genitori degli imprenditori Barbieni. Pranzo, tenuto in un ristorante di Gallico, a cui ha partecipato anche l’ex sindaco di Reggio Giuseppe Scopelliti, oggi governatore della Calabria. Il boss, allora, elenca gli ospiti di quella cena imbarazzante. “C’era Marturano, c’era l’assessore Vilasi della Provincia…”
Una bella festa alla quale tutti (imprenditori in odor di mafia, boss e politici) hanno partecipato allegramente. Quando i giornali pubblicarono la notizia, Vilasi si affrettò con l’avvocato in Procura dove smentì la sua presenza al fianco del boss Cosimo Alvaro. Mai una smentita da parte del governatore Scopelliti il quale, a dirla tutta, confermò la sua presenza al pranzo nel corso di un’intervista al “Fatto Quotidiano.
La stessa intervista andata in onda qualche giorno fa durante la trasmissione “Presa diretta” di Riccardo Iacona contro il quale il capogruppo del Pdl Luigi Fedele ha preparato una richiesta per inserire, alla prossima riunione del Consiglio regionale, un ordine del giorno “tendente a stigmatizzare il reiterato comportamento della trasmissione televisiva”. Richiesta bipartisan che vede tra i firmatari anche Nicola Adamo, uno dei ras del Pd messo alla porta nei mesi scorsi dal commissario regionale del Democrat.
Un atteggiamento stizzito e sofferente della politica nei confronti di chi parla, carte alla mano, di indagini giudiziarie. La stessa politica che in Calabria non si è indignata (e non si indigna) per il terremoto dell’inchiesta “Meta”, coordinata dal sostituto procuratore della Dda Giuseppe Lombardo, che non riguarda solo quella che il boss Cosimo Alvaro definisce “una bella festa compare”, ma tocca i nervi scoperti di una zona grigia che, in riva allo Stretto, trema per le dichiarazioni dei neo pentiti Roberto Moio e Antonino Lo Giudice che, proprio in queste settimane, pare che stiano riferendo ai magistrati della Distrettuale non solo del loro passato criminale, ma anche di quella miscela esplosiva che miscela ‘ndrangheta, politica, massoneria e servizi deviati. Pezzi infedeli dello Stato come il capitano dei carabinieri Saverio Spadaro Tracuzzi accusato di aver favorito la cosca mafiosa Lo Giudice circa le indagini che la riguardavano ricevendo in cambio regali importanti. O come il commercialista Giovanni Zumbo, informatore delle cosche Ficara e Pelle, già amministratore giudiziario di beni confiscati alla ‘ndrangheta ed ex collaboratore di Alberto Sarra, oggi sottosegretario della giunta Scopelliti.
Proprio quest’ultimo, ritornando all’inchiesta Meta, se da una parte ha confermato di aver partecipato a quel pranzo del quale ignorava chi fossero gli altri invitati, dall’altro non ha mai speso una parola circa i rapporti tra i suoi due fedelissimi consiglieri comunali Michele Marcianò e Manlio Flesca con il boss Alvaro e gli imprenditori Barbieri. E neanche sulle intercettazioni in cui viene citato il fratello Tino o sui suoi viaggi a Milano dove Scopelliti, accompagnato da un altro fedelissimo assessore, ha incontrato il boss Paolo Martino ritenuto il punto di riferimento della cosca De Stefano in Lombardia, il “ministro del tesoro” del clan degli arcoti.
Su tutto questo gli “ordini di scuderia” sono chiari: fare quadrato. Ed ecco che, in Calabria, il Pdl e gli ex Pd vorrebbero discutere di “Presa diretta” e del giornalista Riccardo Iacona, colpevole “di aver ficcato il naso” dove neanche i giornalisti calabresi hanno il permesso.
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