Per dare l’idea delle macerie in cui il regime ha ridotto le istituzioni, non c’è che l’imbarazzo della scelta: l’asta dei deputati comprati un tanto al chilo dal premier più ricco e potente del mondo; gli attacchi alla Procura di Roma che, dinanzi a episodi di corruzione alla luce del sole, osa addirittura aprire un’inchiesta; lo strano monito del capo dello Stato al Csm perché non esageri nel difendere i magistrati definiti da B. “famigerati” e “associazione per delinquere”, visto che siamo “in una delicatissima fase della vita istituzionale” e occorre “evitare inopportune tensioni”; e ora l’incredibile rinvio alla sentenza della Consulta sul legittimo impedimento dal 14 dicembre all’11 gennaio per il “clima politico surriscaldato”. La più alta istituzione di garanzia diventa così un organo politico, esposto al “clima surriscaldato”. Resta da capire che farà a gennaio se il clima politico fosse ancora surriscaldato (è prevedibile che lo sarà anche di più: o per le elezioni anticipate alle porte o per le consultazioni in vista di un nuovo governo): rinvierà fino al raffreddamento, cioè a mai, per non disturbare il manovratore? O deciderà sotto la pressione di quel clima che - per ammissione dello stesso neopresidente Ugo De Siervo l’avrebbe condizionata martedì prossimo? De Siervo, eletto con un solo voto di maggioranza (8 a 7, dopo due fumate nere), si sforza a spiegare che la Consulta “preferisce non essere confusa con un organo politico” ed “evitare letture politicizzate della sentenza”. Ma il rinvio a gennaio è proprio una scelta politica di un organo che mai come ora s’è rivelato politicizzato. Nell’estate 2009, pochi mesi prima del verdetto sul “lodo” Alfano, i giudici costituzionali Mazzella e Napolitano invitarono a cena Alfano e Berlusconi, autore e utilizzatore finale della legge che stavano per valutare. Finì 9 a 6 per il No al “lodo”: ben 6 giudici su 15 (fra cui Mazzella e Napolitano, che nessuno aveva accompagnato alla porta o indotto quantomeno ad astenersi) osarono sostenere che i padri costituenti si erano sbagliati perchè la legge non è uguale per tutti. Si scoprì poi dalle intercettazioni sulla P3 che addirittura 7 di loro avevano garantito il Sì alla cricca Carboni-Lombardi-Martino-Dell’Utri-Verdini. L’ha scritto in agosto il presidente del Tribunale del Riesame di Roma, Guglielmo Muntoni: “Lombardi era riuscito a ottenere l’assicurazione sul voto, nel senso voluto dai sodali, di 7 dei 15 giudici della Corte costituzionale”. Poi uno cambiò idea in extremis, ma “resta il fatto che tale ingerenza ci fu e venne esercitata su almeno 6 giudici costituzionali che anticiparono a un soggetto come il Lombardi la loro decisione”. Lo diceva al telefono in dolce stilnovo il faccendiere irpino Pasqualino Lombardi: “Chist’ erano sette, so’ statt’ siempre sette, l’ottav’ nun l’ammo mai truvate… che cazz’ t’agg’a dicere… Noi ne tenevamo cinque certi e ce ne volevano (altri, ndr) tre, ne tenevamo due (incerti, ndr) e ce n’è rimasto uno… ch’amm’a fa’”. E l’ha confermato lui stesso ai pm: “Facevo pressioni sulla Corte per acquisire meriti con Berlusconi”. Dopo le gravissime parole di Muntoni, c’era da attendersi almeno un monito del capo dello Stato, ma soprattutto un colpo di reni della maggioranza della Consulta per cacciare i mercanti dal tempio, cioè quei 7 giudici costituzionali (si sa benissimo chi sono) che avevano violato il segreto e tradito il proprio mandato, obbedendo alla P3 anziché alla Costituzione. Invece silenzio di tomba. Così l’altro giorno, in una Corte mutata in un solo elemento, 7 giudici su 15 han votato come presidente il collega Quaranta, meno “anziano” di De Siervo, ma filogovernativo, rompendo una prassi consolidata e finora mai discussa. Secondo indiscrezioni, De Siervo ha avuto la maggioranza solo in cambio del rinvio della sentenza da dicembre a gennaio. E così, temiamo, ci siamo giocati un’altra autorità di garanzia. L’ultima rimasta.
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Fonte: Il Fatto Quotidiano del 12 dicembre, in edicola
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