CORLEONE - Alcuni commercianti del centro abbassano le saracinesche mentre passa il lungo corteo funebre che accompagna il feretro di Simone Provenzano, fratello del capo di Cosa nostra, Bernardo. Monsignor Vincenzo Pizzitola è davanti a tutti e continua a recitare al microfono Ave Maria e Padre Nostro. I vigili urbani bloccano il traffico. Un giovane turista arrivato dalla Turchia con la sua fidanzata calabrese scatta fotografie: "Sono venuto a Corleone perché adoro il film del Padrino", spiega e osserva incuriosito il corteo che blocca il centro città, dal Municipio fino alla piazza Falcone e Borsellino. "Ma Bernardo Provenzano è in carcere?", domanda. Qualcuno gli spiega che l'uomo nella bara era "senza alcun dubbio una persona perbene".
Lo dice anche monsignor Pizzitola durante la messa a San Domenico, in una chiesa strapiena. Saranno circa 250 persone ad assistere al funerale con la messa cantata. In prima fila, c'è l'altro fratello Provenzano, Salvatore. C'è anche una sorella. Qualche banco più indietro, i figli di Bernardo, Angelo e Francesco Paolo, con la madre Benedetta Saveria. Poi, tantissimi parenti e amici. Nessuno di casa Riina.
Per davvero Simone Provenzano non ha mai avuto alcun guaio con la giustizia. Solo nel 1963 era stato arrestato, durante la faida fra Liggiani e Navarriani. Ma poi fu assolto dall'accusa di tentato omicidio e si trasferì in Germania, dove è rimasto trent'anni a lavorare in una fabbrica di metalli. Dal 2005, Simone Provenzano era un tranquillo pensionato come tanti a Corleone. Viveva con il fratello Salvatore.
La casa che si era fatto costruire all'ingresso del paese con i risparmi di una vita l'aveva ceduta alla compagna e ai figli di suo fratello Bernardo. Lui non ci ha messo mai piede. Il perché è stato un giallo che ha arrovellato a lungo gli investigatori che hanno dato la caccia al capo di Cosa nostra. Nell'estate 2005, una microspia piazzata dalla squadra mobile registrò alcuni dialoghi fra Salvatore e Simone Provenzano. In famiglia c'era una lite in corso, per questioni economiche. A un tratto, Simone citò "Iddu". E i poliziotti capirono che Binnu Provenzano era a Corleone. Lo arrestarono dieci mesi dopo.
Dice Dino Paternostro, segretario della Camera del lavoro di Corleone: "Davvero un funerale in grande stile per un emigrato in pensione. La verità è che a Corleone certa gente non perde il vizio di ossequiare i boss e i loro parenti". Dino Paternostro è preoccupato: "Il rinnovamento culturale della nostra realtà può essere messo a rischio da manifestazioni come queste". Il sindaco Nino Iannazzo minimizza: "I vigili urbani facevano solo viabilità, come per ogni funerale. E quelle saracinesche abbassate sono solo per scaramanzia. Vecchie innocue tradizioni, niente altro".
A Ferragosto, davanti alla casa dove abitava Simone Provenzano, in cortile Colletti, era arrivato il ministro dell'Interno Roberto Maroni per inaugurare la casa della legalità, in un'altra palazzina confiscata ai Provenzano. Quel giorno, Salvatore Provenzano disse in un'intervista a Repubblica: "Mio fratello è diventato il capro espiatorio di tutto quello che è accaduto e accade in Italia". Simone era rimasto a letto, ma aveva voluto parlare - "senza microfono" - con Pino Maniaci, il battagliero direttore di Tele Jato: "Mi disse che lo Stato aveva vestito un pupo", ricorda oggi Maniaci. "Ripeteva: Mio fratello è solo un bravo contadino".
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