Il Gup di Locri ha rinviato a giudizio quattro persone per "truffa ai danni del servizio sanitario nazionale". Truccati l'appalto per la fornitura dei lettini, per il materiale di consumo; per le attrezzature elettromedicali. L'ospedale di Locri è al centro di una lunga indagine nata dalla relazione del Prefetto Paola Basilone, inviata a fare il punto sulle condizioni operative, ma soprattutto, su quelle ambientali, lì dove qualche settimane prima avevano ammazzato a colpi di pistola Franco Fortugno, il vice presidente del Consiglio Regionale che da anni denunciava irregolarità nell'ospedale in cui lavorava.
La "relazione Basilone" certificò che quello di Locri da presidio sanitario si era trasformato in presidio della 'ndrangheta che lo usava per arricchirsi e dare lavoro.
La tac ed il laboratorio d'analisi erano fuori uso perché bisognava favorire i privati convenzionati che sull'inefficienza pubblica costruivano la loro fortuna. Parenti e familiari delle più potenti famiglie mafiose, dai Cordì di Siderno ai Morabito di Africo Nuovo, con in tasca una laurea presa non si sa come all'Università di Messina si trovavano tutti a prestare servizio lì. Gli stipendi pagati puntualmente, anche a chi, successivamente, fu tratto in arresto e poi condannato con la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici.
Ma la cosa più sorprendente è la presenza, tra le persone alla sbarra dal prossimo 11 gennaio, di Maria Grazia Laganà. Parlamentare del Pd e già membro della Commisione Antimafia è la moglie di Fortugno. Il medico-politico fatto fuori al seggio per le primarie del centro-sinistra il 16 ottobre del 2005.
L'indagine pendeva sulla sua testa già da tre anni. E non pochi imbarazzi provocò, nella stessa commissione di cui fece parte, ogni qualvolta ci si occupava proprio dell'indagine nata, ecco il paradosso, anche grazie alle denunce del marito scomparso. Lei si difende dalle accuse augurandosi che "venga fatta al più presto chiarezza".
E di cose da chiarire, Maria Grazia Laganà, ne ha un po'.
Da quando si organizzò con un certo Mimmo Crea per le elezioni provinciali del 2006. Crea in questi giorni è stato condannato a 16 anni di carcere per associazione a delinquere, truffa e corruzione. Ottenne con le minacce l'accredito per la sua clinica privata "Villa Anya" a Melito Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria, cittadina in cui, nonostante gli arresti, tutto passa dalle mani della famiglia Iamonte. Storico casato mafioso con ramificazioni che si estendono dalla punta dello stivale fino in Brianza.
Ma c'è di più. Gli assassini del marito di Maria Grazia Laganà, Alessandro e Vincenzo Marcianò, lavoravano nella segreteria politica di Mimmo Crea ed avrebbero deciso di fare fuori Fortugno proprio per consentire la surroga di Crea, che aveva preso qualche centinaio di voti in meno di Fortugno.
Crea, per quel delitto, non fu nemmeno indagato. Ma le evidenti connessioni con lo "staff elettorale" impegnato ad eliminare i competitors avrebbe dovuto, per opportunità, impedire alla Laganà anche di prendere un solo caffè con Crea.
Alla sbarra con l'onorevole del Pd anche Pasquale Rappoccio. Il titolare della Medinex Srl è accusato di aver condizionato gli appalti nell'ospedale di Locri. Un personaggio che secondo un'informativa della Guardia di Finanza, già nelle mani dei Pubblici Ministeri Mario Andrigo e Marco Colamonici, "unitamente al fratello Vincenzo attraverso il controllo, esclusivo o compartecipato, di numerose strutture societarie attive, oltre che nel settore delle forniture sanitarie, anche in quello turistico alberghiero, svolgerebbero, per conto della cosca Libri, un intensa attività di reimpiego di capitali di illecita provenienza".
E infatti Pasquale Rappoccio avrebbe costituito delle società con Pietro Siclari, già noto per i suoi collegamenti con le cosche Alvaro e Serraino e una condanna nel maxi processo Olimpia contro la 'ndrangheta, e Vincenzo Barillà, con a carico "precedenti penali per falsità".
A tenerli uniti, secondo i finanzieri, un progetto di "acquisizione di un albergo, nell'ambito di una strategia mafiosa finalizzata alla realizzazione del controllo nel settore alberghiero nella città di Reggio Calabria, e nell'avvio di nuove iniziative imprenditoriali attraverso l'acquisizione di immobili dismessi da vari Enti".
Nel frattempo, Pietro Siclari, è finito in manette nell'ambito dell'inchiesta "Entourage" che ha svelato un sistema di imprese in grado di condizionare gli appalti pubblici nel territorio dell'intera provincia di Reggio Calabria.
Ma Rappoccio, oltre ad essere considerato un vero e proprio "prestanome" coltiverebbe la passione per i grembiuli, le squadre ed i compassi. E' un massone, Pasquale Rappoccio, iscritto alla Gran Loggia Regolare d'Italia che fa capo al Gran Maestro Fabio Venzi.
Almeno cinque Logge, a Reggio, farebbero capo all'organizzazione massonica nata dalle ceneri della disciolta P2. La "Tommaso Campanella"; "Araba Fenice"; "San Giorgio"; "Esclapio"; "Alchimia". Massoneria, Sanità e, non poteva mancare la politica.
Rappoccio è in contatto con "con vari esponenti del mondo politico, sia nel centro destra che nel centro sinistra, non curandosi minimamente dell'ideologia".
Lo scopo delle frequentazioni politiche sarebbe solo quello di avere "le persone giuste nel posto giusto" al fine di "incrementare e tutelare" i propri interessi economici. Un esempio? Lo fa la Guardia di Finanza che evidenzia la sua "infedeltà" politica provata dalla sua frequentazione con l'ex Sindaco di Reggio Calabria ed oggi Governatore, Giuseppe Scopelliti, Pdl, che mette in contatto con Lele Mora per l'organizzazione di eventi promozionali e dalla "scelta di campo di segno opposto" alle politiche del 2006 testimonianta dal sostegno pubblico "attraverso i quotidiani locali" l'onorevole Marco Minniti del Pd che poi fu Vice Ministro agli interni dell'ultimo Governo Prodi.
E sempre Rappoccio, rinviato a giudizio con Maria Grazia Laganà, vedova Fortugno, è al centro di un'altra storia. Ancora più complessa. Che dalla sanità attraversa la politica e finisce in mezzo ai servizi segreti.
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Fonte: Voglioscendere.it
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