Quando le polemiche sulla tv infuriano il più delle volte nascondono i veri obiettivi. Cali degli ascolti dei tg e il contenuto di certi programmi sono secondari: quel che conta è la pubblicità e la sua spartizione. I dati dei primi otto mesi del 2010 sono confortanti: l’investimento è aumentato del 4,8 per cento rispetto allo stesso periodo del 2009, bene per le tv, benissimo per Internet (il numero degli inserzionisti sulla Rete è aumentato del 27,4 per cento), male, purtroppo, per la stampa. Nella tv l’aumento della pubblicità non è proporzionale agli ascolti, Rai supera abbondantemente Mediaset, le tv di B. superano abbondantemente la Rai nella raccolta.
Tra le tv generaliste e Sky è in atto un duello all’ultimo spot. Mediaset stravince grazie al digitale terrestre. Il 25 ottobre è partita la catena switch off che si concluderà il 15 dicembre con la copertura totale del Nord-Est fino all’Emilia Romagna. Altri 20 milioni di italiani guarderanno la tv solo con il digitale terrestre, che è il vero business, lo sa bene il presidente del Consiglio che, col neoministro dello Sviluppo economico Paolo Romani, consente di gestire il settore pay-tv sul digitale terrestre in regime di monopolio (la Rai, nonostante l’autorizzazione dell’Agcom, ha deciso di rinunciarvi). Romani, in un recente incontro con il vicedirettore generale della Rai Giancarlo Leone, ha avuto il coraggio di chiedere che i canali Rai non avessero la pubblicità. Leone, per fortuna, ha risposto picche. Grazie a una innegabile capacità imprenditoriale e infiniti aiutini (l’autorizzazione a Mediaset a occupare il canale per sperimentare l’alta definizione, l’ostruzionismo del governo in Europa per impedire l’entrata di Sky nella piattaforma), Mediaset Premium è diventata un’azienda solida e con un grande futuro europeo all’orizzonte. Nei primi sei mesi del 2010 i ricavi sono aumentati del 46 per cento rispetto allo stesso periodo del 2009, da 260 milioni a 394, con una previsione di superare entro l’anno l’importante cifra di 800 milioni. Nel 2011 l’obiettivo è quello di portare le entrate a 1 miliardo. Nei primi sei mesi di quest’anno la pubblicità è stata di 33 milioni, il resto è arrivato dai così detti “clienti attivi” (abbonati), che, sempre nei primi sei mesi, sono passati da 3,7 milioni a 4,4. Se ne sono accorti anche i politici: il segretario Pd Pier Luigi Bersani e più recentemente il ministro del Tesoro Giulio Tremonti.
Un governo, non in costante conflitto di interessi, mettendo a gara le frequenze liberate dal digitale (il ricavo presunto si aggirerebbe tra i 2 e i 3 miliardi di euro), potrebbe finanziare il “sapere” (solo l’università ha un buco di 1,4 miliardi), proposta di Bersani, il decreto Milleproroghe, proposta Tremonti. Bersani e Tremonti dimostrano però di non conoscere lo stato di fatto. A fronte di tanta disinformazione il ministro Romani è stato costretto ad intervenire categoricamente: “Non ci sono frequenze a disposizione”. La disinformazione è strategia: serve a nascondere un meraviglioso mercato che si sta sempre più ingrandendo. Il digitale terrestre in Italia non può liberare frequenze, così come è avvenuto negli altri paesi europei, perché sono già impegnate. La sola Sicilia ha ben 101 tv, 500 sono quelle presenti sul territorio nazionale. Ognuna di queste occupa una frequenza. La tanto sbandierata moltiplicazione dei canali sta andando alle tv già esistenti. È un far west che strategicamente non è stato regolamentato. Queste tv, molte delle quali trasmetteranno sui nuovi canali solo il monoscopio, godono dello stesso diritto di Rai, Mediaset e La7. Un imprenditore che deciderà di entrare nel settore o è già titolare di una tv locale, quindi ha già a disposizione le nuove frequenze, altrimenti dovrà acquistarle dalle tv private. A che cifra? Mentre Mediaset guadagna chi paga sono i cittadini e la Rai. Per ogni famiglia è stato stimato un costo di 60 euro per l’acquisto di due decoder (fascia bassa).
Il totale dell’esborso sarà di 800 milioni, se al decoder esterno si aggiungono l’acquisto di nuovi tv e l’adeguamento dell’antenna per la ricezione del segnale.
La Rai, solo nel 2010, ha dovuto digitalizzare 8 mila impianti di diffusione del segnale. Il costo degli interventi, nel periodo 2009-2012, sarà pari a 300 milioni di euro. È di ieri l’appello di alcuni consiglieri di amministrazione della necessità vitale per la tv, che rappresenta il servizio pubblico, di applicare il piano industriale, atteso ormai da un anno, per portare correttivi in grado di fermare la lenta agonia dell’azienda denunciata dal presidente Garimberti. Il digitale terrestre sbandierato come simbolo di pluralismo al momento ha portato risorse solo a Mediaset, grazie a questo la società del presidente del Consiglio ha annunciato che investirà, nel triennio 2010-2012, un miliardo di euro nella produzione di nuovi programmi e soprattutto nell’acquisizione di diritti (calcio e film) per la piattaforma Premium.
Da il Fatto quotidiano del 28 ottobre 2010
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