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Ciancimino jr è indagato per mafia. Per la procura conferma che è attendibile


PALERMO - Dopo due anni e mezzo di interrogatori e consegne rateizzate di «pizzini» e scritti vari, Massimo Ciancimino si ritrova inquisito per mafia. L'ha scoperto l'altro ieri, convocato per l'ennesima deposizione davanti ai pubblici ministeri di Palermo. In apertura di verbale i magistrati hanno comunicato al figlio di Vito Ciancimino, l'ex sindaco condannato per appartenenza a Cosa nostra e morto nel 2002, che il suo nome figura nell'elenco degli indagati per il reato di concorso in associazione mafiosa. L'inchiesta è quella rubricata col numero 11609/08, sulla presunta trattativa fra lo Stato e i boss a cavallo delle stragi del 1992 e dopo, fino ai primi anni Duemila. L'accusa è di aver fatto da tramite fra suo padre e Provenzano (ma anche altri capimafia) e le fonti di prova a carico di Ciancimino jr sono le sue stesse dichiarazioni e i documenti che ha portato in Procura dal 2008 ad oggi, analizzati dalla polizia scientifica che non ne ha escluso l'autenticità.

Si tratta di fogli scritti a mano e a macchina. Alcuni di questi ultimi, secondo quanto riferito dal neo-indagato, provenivano direttamente da Provenzano, scritti durante la sua lunghissima latitanza. In molte occasioni il giovane Ciancimino ha detto di aver svolto il ruolo di «postino», facendo entrare e uscire lettere provenienti (a suo dire) dai boss perfino in carcere, nei periodi in cui l'ex sindaco corleonese di Palermo era detenuto. Gli esami della Scientifica non sono stati in grado di indicare l'attribuzione dei manoscritti (le comparazioni con le calligrafie dei principali boss hanno dato tutte esito negativo) e hanno escluso che i «pizzini» dattiloscritti consegnati da Massimo agli inquirenti (quasi sempre in fotocopia) provengano dalle macchine da scrivere trovate in possesso di Provenzano. Il tipo di carta, però, è compatibile con i periodi indicati, anche quelli che dovrebbero essere vecchi di quasi vent'anni.

La mossa della Procura di Palermo è la conseguenza di ciò che lo stesso Ciancimino jr è andato raccontando in questi ultimi due anni e mezzo, e paradossalmente è un attestato di parziale credibilità alle sue dichiarazioni. Per esempio sul presunto «papello» con l'elenco delle richieste di Totò Riina alle istituzioni dopo la strage di Capaci in cui morì Giovanni Falcone e prima di quella di via D'Amelio che tolse di mezzo Paolo Borsellino. L'allora giovane rampollo lo ricevette personalmente dalle mani di Nino Cinà, il medico di Riina condannato per mafia, e lo portò a suo padre.

Con tutto quello che ha detto anche a suo carico, se i magistrati non l'avessero creduto sarebbe dovuta scattare l'accusa di autocalunnia; contestandogli il concorso esterno con Cosa nostra, invece, i pm palermitani mostrano di ritenerlo credibile. Almeno nella parte sulla trattativa, e almeno per adesso, giacché gli interrogatori non sono conclusi e Ciancimino jr ha abituato gli inquirenti a versioni anche contrastanti, contraddittorie o inconcludenti. Così le hanno valutate i giudici d'appello che hanno confermato la condanna del senatore Marcello Dell'Utri (del quale pure si parla in alcuni «pizzini»), rifiutandosi di ascoltare il testimone.

Le ombre maggiori riguardano ciò che il neo-indagato ha detto sul misterioso «signor Franco», un fantomatico agente segreto che a suo dire faceva la spola tra lo Stato e la mafia: sostiene di averlo visto più volte ma non l'ha mai saputo individuare, prima ha dichiarato di non conoscerne l'identità e poi sì ma senza rivelarla, ha detto di conservare una sua fotografia e successivamente ha fatto marcia indietro, ha indicato un nome straniero che non ha portato a nulla. Per gli stessi inquirenti, questa storia di «Franco» è un enigma al quale il giovane Ciancimino rischia di rimanere impigliato, e sperano di cavare qualcosa dai prossimi atti istruttori.

Oggi sarà interrogato R.P., funzionario del servizio segreto civile riconosciuto in fotografia dal figlio dell'ex sindaco e indicato come «il capitano» che negli ultimi anni gli avrebbe intimato di non parlare della trattativa e che nel 2006, alla vigilia dell'arresto di Provenzano, gli consigliò di allontanarsi dall'Italia. Quel signore, che al tempo delle stragi era in servizio al Sisde di Caltanissetta, è ora accusato di «violenza privata», con l'aggravante di aver favorito Cosa Nostra. A causa della deposizione di Massimo Ciancimino, ora indagato per concorso con la mafia.

Fonte: Corriere.it

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