La vera rivoluzione nell’informazione sarebbe pubblicare le notizie dall’estero di fianco a quelle dall’Italia e lasciare ai cittadini il confronto. Sabato, a Dublino, Tony Blair è stato sommerso di uova, scarpe e bottiglie di plastica mentre presentava il suo libro di memorie, la boiata pazzesca in cui si pente di aver abolito la caccia alla volpe ma non di aver sterminato centinaia di migliaia di persone in Iraq e Afghanistan col suo degno compare Bush. I contestatori gli urlavano slogan in dolce stilnovo: “Blair ha mentito, milioni sono morti”, “Condannatelo per genocidio”, “C’è sangue sulle tue mani”, “Ehi, Tony, quanti bambini hai ammazzato oggi?”. Lui non ha fatto una piega, a parte tentare di scansare gli oggetti che gli piovevano addosso. E nessun’autorità britannica si è sognata di urlare allo “squadrismo” e al “fascismo”. Anche perché contestare i potenti è tipico delle democrazie. Nelle stesse ore, a Torino, una cinquantina di ragazzi pericolosamente informati (sventolavano financo Il Fatto e L’espresso) contestavano Renato Schifani alla festa del Pd, al grido “Fuori la mafia dallo Stato”. Apriti cielo. Il servizio d’ordine del Pd (pare che sia l’acronimo di Partito democratico) e la polizia li hanno strattonati e malmenati per allontanarli dalla festa, non si sa bene in base a quale legge, visto che il duetto Schifani-Fassino si svolgeva sul suolo pubblico, dunque aperto a tutti. Intanto Fassino li insultava (“squadristi”), Schifani li insultava (“esempi di antidemocrazia”) e il “moderatore”, un mezzobusto del Tg3, li insultava (“fascisti”) e invitava gli attivisti piddini a fare giustizia. Bersani chiamava Schifani per fargli tante scuse e persino il capo dello Stato correva al salvamento del suo vice col consueto monito contro l’“indegna gazzarra”.
Mobilitazione generale contro le nuove Bierre, mancavano solo l’esercito, i Caschi blu e le amazzoni di Gheddafi. Il meglio però l’han dato i giornali, ormai ridotti a servizio d’ordine dei politici: gli stessi giornali (tutti) che, impegnatissimi dietro la cucina Scavolini di Fini, non hanno scritto una riga sulle rivelazioni dell’Espresso e del Fatto a proposito dell’inchiesta della Procura di Palermo sulle accuse di mafia a Schifani e hanno addirittura censurato il comunicato in cui Schifani chiedeva ai Pm di interrogarlo al più presto. Avrebbero dovuto spiegare ai loro lettori perché Schifani era stato contestato, ma non potevano, altrimenti avrebbero prima dovuto raccontare l’inchiesta per mafia sul presidente del Senato e, ancor prima, ammettere di aver censurato una notizia tanto enorme. Troppo complicato. Meglio parlar d’altro e spacciare la contestazione per un tentativo di “non far parlare” il presidente del Senato (che peraltro parla ogni santo giorno a tg ed edicole unificati, mentre chi lo contesta non ha mai voce). Infatti nell’editoriale di Pigi Battista sul Pompiere la parola mafia non compare mai.
E nemmeno in quello gemello di Aldo Schiavone su Repubblica. In compenso Battista scrive che si voleva “impedire il diritto di espressione” e Schiavone che si puntava a “ridurre al silenzio l’avversario”. Per Schiavone, la contestazione “allarma chi ha a cuore la democrazia”, perché è “violenza e intolleranza”, “male subdolo”, “protesta incivile”, “irresponsabile estremismo che ci fa paura perché può incubare climi peggiori di cui purtroppo la nostra storia non è immune”, insomma il terrorismo è di nuovo alle porte. Per Battista, chi fischia Schifani è nell’ordine: “Populista”, “antidemocratico”, “cupo”, “intimidatorio”, “prevaricatore”, “prepotente”, “arrogante”, “fanatico”, “antiliberale”, sogna “il bavaglio” e viola “l’art. 21 della Costituzione”. Ma, sia chiaro, “non in nostro nome”. Ecco: leviamoci dalla testa che i contestatori fossero lettori aizzati da Battista. Forse perché lui sta sempre con il potere e non ha mai contestato nessuno. O forse perché lui non ha lettori.
Fonte: Il Fatto Quotidiano del 07 settembre, in edicola
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