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L'Aquila, è finita la tolleranza per le passerelle

Dopo le botte di Roma, ieri la contestazione a Gianni Letta durante la cerimonia della Perdonanza. A L'Aquila 32mila terremotati sono ancora senza casa. I negozi non riaprono. Non c'è più voglia di ascoltare promesse

Ascoltano gli slogan che risuonano nell’aria tesa mentre sfilano come pietrificati, gli occhi coperti dalle lenti scure, il sottosegretario Gianni Letta accompagnato dal sottosegretario Jole Santelli dentro un tailleur nero e dalla senatrice del Pdl Paola Pelino ingessata da un abito damascato: “Io alle 3 e 32 non ridevo”. Le mani a tenere gli striscioni: “Cialente vergogna. Zona rossa sì, di vergogna. Letta vedi de jittene”. Letta muove il viso leggermente per leggere. Davanti due Cardinali. La Chiesa che protegge il potere. Eppure oggi Gesù Cristo di certo sarebbe stato in fondo al corteo assieme al popolo delle carriole, simbolo culturale di ribellione e rinascita che al passaggio riscuote gli applausi della cittadinanza. Poco distante da Piazza Duomo la polizia cerca di strappare gli striscioni appesi al muro. I ragazzi del movimento 3 e 32 li difendono stringendosi a cordone. La polizia non demorde. Una ragazza cade a terra e piange. La gente urla: vergogna vergogna. La tensione sale. Arriva il sindaco Massimo Cialente c’è chi gli chiede come possa resistere impassibile di fronte a tanta violenza. Risponde che lui non è responsabile dell’ordine pubblico parlerà con il Questore. Ma oggi è la festa della Perdonanza.

Ancora 32mila i senza casa
Quel Papa dentro l’urna, Celestino V, sta a ricordare che dal 1294 il perdono verrà concesso anche al popolo e non più a pagamento. Dunque è la festa del popolo. Il movimento delle carriole che ha svegliato la città come intorpidita dal dolore e dalle promesse rimaste parole, lotta per riprendersi la vita rimasta seppellita dalla furia del terremoto e da chi avrebbe dovuto proteggerli. Le carriole nate per trasportare le macerie ora sono piene di libri come segno di rinascita culturale. A L’Aquila non c’è più un luogo dove leggere, dove studiare. E le macerie ancora ammassate sono milioni di tonnellate. Solo diciottomila persone sono nelle nuove case, le chiamano così mentre duemila sono ancora negli alberghi e 30 mila si arrangiano come possono ospiti di amici e parenti. “Forti e gentili sì. Fessi no” si legge su uno striscione. Frasi che raccontano la fine di un inganno che dura da troppo tempo ma che non ha soffocato il bisogno di tornare a vivere la loro città nella loro città. Le transenne lungo il corso che si snoda da Piazza Duomo sono diventate il muro del pianto aquilano. I commercianti ci hanno appeso le foto delle insegne dei loro negozi devastati dal sisma. I bambini i disegni di come erano le loro case che non ci sono più e di come immaginano che torneranno ad essere, forse, un giorno. Degli 800 esercizi commerciali solo quattro hanno riaperto. Nei pochissimi bar si respira la stessa gentilezza di un tempo seppure velata dalla tristezza.

Le botte di Roma fanno ancora male
Dolore e speranza si intrecciano senza fine. “Il sindaco non doveva invitare per la festa della Perdonanza Letta che ha armato la polizia contro di noi a Roma”, spiega Mattia giovane laureato in Scienze politiche, disoccupato. “Letta rappresenta le istituzioni ed io le rispetto”, controbatte il sindaco Cialente che aggiunge: “Le botte dalla polizia le ho prese anch’io a Roma ma cosa vuol dire?”. “Ecco appunto cosa vuol dire allora considerare autorevole un governo che è arrivato a fare questo?”, spiega Mattia. Gabriella invece, tecnico di laboratorio al CNR mentre spinge una delle tante carriole si sfoga così: “Il perdono la mia gente lo pretende perché lo merita ed essere perdonata vuol dire non dover più subire in silenzio l’umiliazione di essere considerata incapace di decidere il proprio destino”. Le sue parole rimbalzano contro il viso senza espressione del presidente della Regione Chiodi che raggiunge a passo veloce la testa del corteo tenuto sotto braccio da un omone grande e grosso che gli sussurra: non ti fermare andiamo.

Ragazzi in costume fanno volare le bandiere. Ma nessuno li osserva con attenzione. Ai bordi del viale che conduce alla Chiesa di Colle Maggio dove ad attendere il corteo c’è il Vescovo Molinari, poche persone e poco appassionate. Il Vescovo che ha accusato la cittadinanza di ingratitudine nei confronti di Berlusconi a cui lui di certo concederebbe l’indulgenza. Peccato che non possa farlo perché Berlusconi qui non c’è. E non è venuto neppure Bertolaso. Sono finiti i tempi delle passerelle. Ora è il tempo della resa dei conti e i conti non tornano. I soldi non ci sono. “L’Aquila era morta anche prima” ha detto il parlamentare del Pdl Giorgio Straquadanio. “Parole che ci offendono e ci indignano”, gli risponde Anna Colasacco mentre spinge la sua carriola.

da Il Fatto Quotidiano del 29 agosto 2010

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