Nuovi arrivi da Saturno. Dopo Passera e Mancuso, l’astronave che riporta in patria gli italiani reduci dallo spazio, praticamente una navetta, ci ha restituito ieri Uòlter Veltroni. Il quale, appena atterrato, ha scritto una lettera agli italiani: “Scrivo al mio Paese e vi dico che cosa farei”. E, per risparmiare sull’affrancatura, l’ha mandata al Corriere. Il genere epistolare non deve stupire: tutti i migliori comici, da Totò a Peppino, da Benigni a Troisi, ne han fatto largo uso. Totò, salendo sul wagon lit, chiamava a raccolta “fuochisti, macchinisti, ferrovieri, frenatori, uomini di fatica”. Uòlter, scendendo dall’Ufo, si rivolge “agli italiani che tornano a casa”, ma anche “a quelli che non si sono mossi”; a quelli che non si sono mossi “perché lavoravano”, ma anche a quelli che non si sono mossi “perché non possono lavorare”; “agli imprenditori”, ma anche “ai nuovi poveri italiani” (a quelli vecchi no). A tutti rammenta che “in fondo due anni fa quasi 14 milioni di italiani fecero la croce sul simbolo che conteneva il mio nome come candidato premier”. Ecco, 14 milioni di croci sul suo nome. Ma lui non sospettò nulla. Anzi seguita a interrogarsi su quella banale questione aritmetica che gli negò la vittoria: “Se un milione e mezzo dei 38 milioni di votanti avesse scelto il centrosinistra riformista invece di Berlusconi, ora saremmo noi a guidare il Paese. Ma non è successo, per tanti motivi.
Come cercherò altrove di approfondire, credo più per ragioni profonde e storiche che per limiti di quella campagna elettorale che si concluse col risultato più importante della storia del riformismo italiano”. Ha perso, ma è come se avesse vinto (infatti ora spiega come si vince: “No a sante alleanze anti-premier, così si perde”, parola di esperto). Comunque non è stata colpa sua. Due anni su Saturno non gli son bastati per capire cosa accadde nel 2008, ma cercherà “altrove di approfondire”. Gli offriamo un riassuntino. Novembre 2007: dopo due anni di fallite “spallate” a Prodi, B. è politicamente morto, snobbato da Bossi e scaricato da Fini che lo chiama “comica finale”. Poi entra in scena Uòlter e apre un “tavolo delle riforme”, ma non con Fini e Bossi aiutandoli a seppellire il nano, bensì col nano aiutandolo a riannettersi Fini e Bossi. Effusioni da fidanzatini di Peynet, poi l’accordo per una legge elettorale bipartitica, che costringe Fini a rientrare a corte di B., mentre Uòlter minaccia di morte i partiti alleati (“se si va a votare, il Pd corre da solo”). Risultato: Mastella si accorda con B. per votare col vecchio porcellum e rovescia Prodi. B. risorge per la terza volta. In campagna elettorale chiama Uòlter “maschera di Stalin”, ma Uòlter porge l’altra guancia: non solo non l’attacca mai, ma nemmeno lo nomina per non cadere in tentazione (“il principale esponente dello schieramento avversario”). Già che c’è, riabilita pure Craxi e affida le liste Pd in Sicilia al compagno Crisafulli, vecchio amico del boss di Enna, dunque rieletto senatore. Naturalmente perde le elezioni (38% Pdl, 33 Pd), regalando a B. la maggioranza più oceanica della storia. Non contento, persevera col “dialogo”: promette “opposizione costruttiva” al peggior governo della galassia e non candida nessuno contro Schifani alla presidenza del Senato. Così il Pd perde pure tutte le regioni su piazza (Friuli, Abruzzo, Sardegna).
Poi Uòlter s’imbarca per Saturno. Ora pare guarito: riesce a scrivere tre volte “Berlusconi”, scopre “la logica personale dei suoi interessi” e “l’aria putrida dei ricatti”, ricorda che “la mafia è politica” (avrà parlato con Mirello), paventa financo “rischi di democrazia autoritaria”. Tutto giusto, tutto perfetto (a parte la sparata tutta berlusconiana delle “croci sul mio nome”). La lettera parrebbe persino profetica, se fosse stata scritta nel ‘94. Oggi invece i destinatari potrebbero domandare al mittente: scusa, Uòlter, anziché raccontarci “cosa farei” ora che non conti più nulla, ci spieghi perché non hai fatto qualcosa quand’eri vicepremier, poi segretario dei Ds e poi del Pd? Perché le lettere hanno questo, di seccante: che ogni tanto qualcuno risponde.
Fonte: Il Fatto Quotidiano del 25 agosto, in edicola
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