Sarebbe facile maramaldeggiare sui finiani di Farefuturo che, a 16 anni e mezzo dalla cacciata di Montanelli dal Giornale che aveva fondato e non voleva trasformare in quel che è diventato, riabilitano il grande Indro. Facile irridere alla scoperta tardiva della vera natura del berlusconismo: un mix di “dossieraggio, ricatti, menzogna per distruggere l’avversario, propaganda stupida e intontita, slogan, signorsì e canzoncine ebeti”. Facile farsi beffe di chi, dal 1994 a oggi, ha scambiato B. per un potenziale “grande politico e statista”, un “leader atipico ma liberale”. Facile ricacciare questa parte della destra italiana nelle fogne del neofascismo da cui molti suoi esponenti provengono. Facile, ma anche ingiusto. Per diversi motivi.
1) Il brusco distacco, non solo politico ma anche culturale, dal Caimano e dalle sue putride paludi non è roba da voltagabbana a caccia di prebende e poltrone: anzi, se cercassero quelle, i finiani sarebbero rimasti con B., ben protetti dai suoi scudi giudiziari e mediatici, anziché offrire il petto ai suoi killer catodici e a mezzo stampa. Quando uno cambia idea, bisogna sempre controllargli la bottega e verificare se gli conviene o no. Ai finiani non conviene affatto, anzi conveniva restare dov’erano.
2) L’autocritica, almeno a giudicare dalle parole di Farefuturo, non è una disinvolta operazione di facciata, come quella di tanti che dall’oggi al domani cominciano a dire il contrario di quel che dicevano ieri, con l’aria spocchiosa dei maestri che hanno sempre ragione anche se hanno sempre avuto torto. Farefuturo riscrive il recente passato, confessa un “senso di colpa per non aver capito prima, per non aver saputo e voluto alzare la testa”, riconosce che “oggi che gli editti toccano da vicino, è fin troppo facile cambiare idea” e persino che “ha ragione chi dice: perché non ci avete pensato prima?”, infine ammette che “non c’è una risposta che non contempli un pizzico di vergogna. Una vergogna che, però, non prevede ora il silenzio, il ripetersi di un errore”. Chi parla così merita un’apertura di credito: cioè di essere giudicato non da quel che ha fatto ieri, ma da quel che farà domani (specie in tema di libertà d’informazione e legalità).
3) I finiani non si limitano a difendere Fini, ora che il killeraggio colpisce lui (troppo comodo), ma hanno il coraggio di ricordare il punto più basso del regime: “Il pensiero corre all’editto contro Biagi, Luttazzi e Santoro”. Citano cioè tre personaggi lontanissimi dal mondo della destra, che nel 2002 subirono insieme al loro pubblico l’affronto più sanguinoso: il divieto di lavorare in tv per averne fatto un “uso criminoso” (lesa maestà), divieto che per Luttazzi perdura tuttora.
4) L’autocritica non proviene dai killer, tutti rimasti per selezione naturale alla corte di B., ma da chi appunto ha taciuto per troppi anni sui killeraggi, senza osare “alzare la testa”, e ora che lo fa ne assaggia le prime conseguenze.
5) L’autocritica dei finiani, per quanto tardiva, è comunque in anticipo rispetto a tanti “intellettuali” sedicenti “liberali” e/o “terzisti” che da 16 anni tengono il sacco e fanno da palo a B. paraculeggiando e pompiereggiando con una finta indipendenza che è anche peggio del berlusconismo, perché non ci mette neppure la faccia. Per non parlare dei dirigenti e delle teste d’uovo del centrosinistra “riformista” e della sinistra “radicale” che hanno screditato il valore dell’antiberlusconismo come “demonizzazione” e “giustizialismo”, l’hanno sacrificato sull’altare delle bicamerali, del “dialogo” sulle “riforme condivise”, delle ospitate a Porta a Porta e dei libri Mondadori, non riuscendo o non volendo immaginare una destra diversa da quella abusiva di B. e garantendo lunga vita a B. Oggi dovrebbe vergognarsi e chiedere scusa una vasta e variopinta compagnia. I finiani, con tutte le loro magagne, lo stanno facendo mentre B. è vivo e potente. D’Alema & C. e il Pompiere della Sera aspettano il referto del medico legale.
Fonte: Il Fatto Quotidiano del 20 agosto, in edicola
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