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Viaggio nella Palermo sommersa dall'immondizia

PALERMO - Per loro fortuna i duemila turisti sbarcati ieri mattina da due palazzi galleggianti come la Fantastica e la Concordia per scoprire la città fra carrozzelle addobbate come carretti hanno seguito la direttrice che dal porto arriva a Piazza Politeama, lungo via Emerico Amari, cinquecento metri puntellati da cassonetti sporchi e scoperchiati, lerci e maleodoranti, ma svuotati nella notte. Così, forse, Palermo ha evitato di offrire ai croceristi per l’ennesima volta l’immagine e il disastro di una nuova Napoli. O, come ha sferzato con un titolo della scorsa settimana Le Monde, di «città pattumiera». Sporca, ma senza montagne di rifiuti. Anche se resta nelle foto ricordo il profilo tetro di contenitori simili a bocche spalancate di vecchi sdentati, i coperchi piegati o spezzati. Poteva andare peggio, direbbe con una delle sue battute Fiorello. Sarebbe bastata, infatti, una piccola deviazione sulla destra, prima della cupola del Teatro Politeama, per restare ancora più sconvolti davanti alla discarica a cielo aperto del Borgo Vecchio, un mercato nel cuore della vecchia Palermo dove si può comprare di tutto, anche la notte. A due passi da botteghe e bancarelle, da griglie con sgombri e «stigghiole» fumanti, ecco una catasta di materassi sfatti, armadi sfondati, sedie e tavoli squinternati, resti di frigo, radio e tutto ciò di cui ci si può liberare. Compreso un serbatoio di eternit, come succede nella piazzetta trasformata dai ragazzi in un campetto di calcio recintato, una gabbia, unico modo per delimitare lo spazio fra gioco e monnezza.


Inferno Bellolampo
È una delle immagini consegnate dal cuore di Palermo, dal «cuore di cactus», per usare il titolo di un libro di Antonio Calabrò che, come ogni scrittore nato da queste parti, ama e odia una terra dove sui rifiuti si scatena una guerra politica e rischia di esplodere una bomba ecologica chiamata Bellolampo. Nome di un brutto monte dove i gabbiani sembrano topi volanti. Una discarica al collasso che alimenta i liquami del cosiddetto percolato, un lago di melma che si infiltra insidiando la falda. Un girone dantesco, meta di autocompattatori rotti e insufficienti. Specchio di un’azienda colabrodo, l’Amia, un buco di oltre cento milioni di euro, proprio ieri mattina inseguita in tribunale da 2.400 creditori che chiedono 44 milioni per forniture mai saldate. Forniture in qualche caso ai raggi X di ben altre indagini. È il caso del lavaggio «esterno » al quale si appoggiava l’Amia, quello dei boss Lo Piccolo a San Lorenzo. Sotto processo un’intera gestione, il sindaco Diego Cammarata con dodici fra direttori e amministratori. Compreso l’ex presidente Enzo Galioto, ancora ben protetto dal suo seggio di senatore Pdl. Resteranno nella storia degli scandali i viaggi ad Abu Dhabi per trasferire negli Emirati un presunto know how della «differenziata » allora mai sperimentata in Sicilia. Un buco nell’acqua. E un buco nel bilancio di un Comune sull’orlo del dissesto. Bocciata la proposta del sindaco per l’aumento della tassa immondizia, la Tarsu, non si sa cosa fare perché la prima voce dei tagli è la Gesip con i suoi duemila dipendenti assunti per cooptazione.

Sindaco in vacanza
È questa la catena di guasti antichi e recenti che sta dietro un viaggio fatto ieri mattina spostandoci da borgate decentrate come Pagliarelli e Bonagia a Villa Sperlinga, il cuore residenziale di una Palermo do ve gli abitanti di via Libertà o piazza Leoni scoprono con soddisfazione i primi esperimenti di «differenziata». Anche se proprio a piazza Leoni, di fronte all’ingresso di Villa Airoldi, sede di un Golf Club fra giardini e vasche del Settecento, la titolare dell’edicola all’angolo, Giovanna Calabrese, indica esterrefatta una vasca dei nostri giorni colma di rifiuti, come fosse un cassonetto: «La differenziata è una gran cosa, ma se i signori della cosiddetta "Palermo bene" ristrutturano casa buttando tutto per strada vince l’inciviltà...». S’intrecciano così le colpe degli amministratori e le cattive abitudini di chi a Palermo vive. Anche se fra siti web e manifesti prevale il refrain sul sindaco, «Cammarata vattene». È lo slogan pennellato su un paio di teli stesi da cittadini semplici ai loro balconi, quartiere Matteotti, il più signorile, a due passi dalla elementare Garzilli. È un crescendo. E Cammarata, appena tornato dal Sudafrica dopo una gita «mondiale», respinge le critiche di chi ha pure presentato una mozione di sfiducia: «Che male c’è a prendersi tre giorni di vacanza?». Quesito che rimbalza in una città da dove parte una sua disperata lettera appello alla Prestigiacomo, a Bertolaso, a Gianni Letta perché ministero dell’Ambiente, Protezione civile e Palazzo Chigi lo ascoltino: «Chiedo da gennaio dell’anno scorso lo stato di crisi...».

Percolato d'oro
Lo ascoltano un po' meno alla Regione, dove prevale il contropiede con Raffaele Lombardo, il governatore che ha detto no ai termovalorizzatori facendo saltare «un affare criminale», stando all’accusa lanciata anche dal suo assessore all’Energia Pier Camillo Russo. Un tecnico già andato in Procura per l’«emergenza percolato», convinto che qualcuno abbia interesse ad ampliare la misura del fenomeno: «Mi hanno chiesto di conteggiare 45 mila tonnellate di percolato smaltite in quattro mesi. Cioè 11.250 tonnellate al mese. Lavoro eseguito con autocisterne fornite di rimorchio. Trenta tonnellate ognuna a viaggio. Significa che ogni mese per 11.250 tonnellate occorrono 375 autocisterne che fanno la spola con Gioia Tauro ». I conti non tornano e Russo bacchetta: «Smaltire ogni tonnellata di percolato costa 80 euro. Così, per 45 mila tonnellate dovrei firmare un assegno da 3 milioni e 600 mila euro. Ecco perché il percolato non deve mai mancare. Non bisogna farlo finire mai...». È materia di indagine. E non è l’unico scontro, visto che adesso l’Amia litiga anche col prefetto Giancarlo Trevisone per la quinta vasca di Bellolampo collaudata senza loro tecnici. Una boccata d’ossigeno. Appena sei mesi per un nuovo possibile collasso che forse non può essere rovesciato solo sul sindaco. Ma echeggia nei suoi confronti il malessere. Nascono su Facebook gruppi come «Carta 9 gennaio» e Calabrò dialoga con uno degli allievi di Piersanti Mattarella, Antonio Piraino, un manager di Banca Nuova, sulla scia di altri scrittori, di Roberto Alajmo che denuncia incuria e degrado. In sintonia con chi raccoglie centinaia di foto sui rifiuti di Palermo e li piazza nella vetrina internet, «Il Valore delle Piccole Cose».


Cassonetti sudici
Sono foto come quella scattata ieri mattina alle 10.45 a piazza Pagliarelli, la borgata oltre la circonvallazione, dove Giuseppe Di Simone mostra schifato i cassonetti zeppi, i coperchi a pezzi: «L’autocompattatore passa, ma dentro restano luridi e nessuno li ha mai puliti». È quel che succede alle 11.10 in via del Bassotto, quartiere Bonagia. Divani, sedie, armadietti rotti circondano i cassonetti stracolmi, scrutati con disappunto da Giuseppe Santoro, pensionato: «Tutti si lamentano, ma nessuno si ribella». Venti minuti dopo ecco il replay su via Montegrappa, villaggio Santa Rosalia, vicino all’ospedale Civico. Cassonetti e discarica in area parcheggio. Un gatto spaventato dal fotografo mentre sfalda sacchetti e cerca cibo, indicato da Davide Giannini, titolare dell’autoscuola Jolly: «Adesso, anche il pomeriggio, il camion passa, ma puzza più dei cassonetti che restano sudici». Dalla periferia a piazza Unità d’Italia la rabbia è la stessa. E alle 12.30 sotto la pioggerellina una signora si tura il naso all’angolo con via Giusti. Come succede alle 12.50 a piazza Leoni davanti alla vasca-cassonetto. O alle 13.30 al mercato di via La Marmora, angolo via Sanpolo, fra panieri di insalate e pomodori stesi accanto alla spazzatura da un ambulante abusivo che non protesta: «Cade il mondo se per una notte non se la portano?». E passa veloce pure la signora che alle due del pomeriggio rischia di inciampare nell’armadio di ferro arrugginito da dieci giorni sul marciapiede di via Francesco Lo Jacono, a 50 metri dall’albero Falcone di via Notarbartolo, simbolo di un riscatto che anche la monnezza allontana.

Fonte: Corriere.it

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