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Scioperiamo per la fame. La protesta si allarga

L’aria è fine, il cielo è terso sul lago di Como. Dev’essere senza dubbio questo che induce all’ottimismo per una ripresa prossima e certa molti, non tutti ma molti, i presenti al workshop Ambrosetti. L’immagine è quella di un mondo economico e finanziario che, dopo un iniziale momento di panico,
ben lontano dall’aver rimesso in discussione il sistema che l’ha portato al collasso, è solo in attesa di poter chiudere con la dieta forzata e tornare a scegliersi il menu. L’aveva detto Alberto Bombassei, vicepresidente di Confindustria, entrando in scena a Villa d’Este: «Qui sembra quasi il paradiso. Francamente sono un po’ stupito. C’è qualche segno di ripresa, ma molto modesta». Troppo ottimismo in giro.

Non si parla (più) di revisione delle regole del gioco, di riconversione e rilancio ecocompatibile, la crisi di liquidità «è risolta», dice il presidente dell’Abi Corrado Faissola, e in fondo perché mettere un tetto ai bonus di manager e banchieri? Alla Banca d’Italia si ubbidisce, certo, ma sia chiaro che «da noi questo è un problema molto modesto rispetto ad altri paesi». Eppure. Annunciato da un agosto di operai in lotta sulle gru contro lo sfascio industriale e da un settembre di insegnanti sui tetti contro lo sfascio scolastico, l’autunno che verrà è di quelli che spaventano e che, insieme al posto di lavoro, rischiano di far saltare la coesione sociale.

L’ha ricordato, per primo, il presidente Giorgio Napolitano: «La crisi provocherà serie conseguenze sul mercato del lavoro». L’ha sottolineato l’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema: «La crisi lascia aperti problemi enormi, soprattutto quello gravissimo della disoccupazione, una grande emergenza europea ed italiana», dice. Tanto più se a perdere il lavoro sono 50enni. Servirebbe la politica, allora. «Politiche di assistenza alla disoccupazione perchè non possiamo lasciare le famiglie senza reddito e senza speranza». Ma la cifra della politica sono le parole del ministro Brunetta, che tranquillamente spiega che l’occupazione reagisce con un ritardo di sei mesi rispetto alla crescita economica. «Questo va assorbito con gli ammortizzatori sociali». Quali, visto che anche i soldi per la cassa integrazione stanno per finire, dopo il ricorso record dei mesi scorsi?

Un allarme suffragato dai dati, con oltre 200mila posti già persi nel primo trimestre in Italia e un tasso di disoccupazione proiettato verso il 9%. Ancora più negative le stime per i mesi a venire. Per Confindustria sono un milione quanti, sino al primo trimestre 2010, resteranno senza lavoro o andranno in cassa. La Cgil parla di un milione di posti a rischio tra quest’anno e la prima metà del 2010 per arrivare a 2,9 milioni di disoccupati alla fine del prossimo. Non bastasse, Assoedilizia promette un autunno caldo pure per gli affitti, complici il blocco delle immigrazioni sia la progressiva riduzione del fondo sociale affitti. Peraltro, nel decennio 1999-2008 i canoni sono già aumentati del 60-70%.

L’allarme disoccupazione, dopo le parole di Napolitano, a Cernobbio inizia a serpeggiare qua e là. Lo rilancia Enrico Letta del Pd, e gli imprenditori, quelli veri, che hanno capito da tempo ormai l’importanza dei lavoratori non solo per far andare avanti la fabbrica, ma per conservarne integra la stessa identità. Franco Bernabè, numero uno di Telecom (da cui usciranno in 5mila) sembra sensibile all’argomento: «Non possiamo uscire dalla crisi con licenziamenti massicci». Ma la sua è una logica tutta funzionale: «La gente deve consumare, riprendendo a spendere». Non sarà questa che metterà al sicuro la coesione sociale d’autunno.

Fonte: Unità.it
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