I dubbi tra i colleghi di governo sulla strategia degli annunci
ROMA — «Io, povero, non bello e non ricco, ho fatto il c... al mondo e sono la Lorella Cuccarini del governo Berlusconi». Esattamente un anno fa Renato Brunetta completava questi concetti espressi in una intervista a «Gente» definendosi «il più amato dagli italiani».
Volava nei sondaggi, il ministro della Pubblica amministrazione, dopo aver dichiarato guerra ai fannulloni: secondo per popolarità soltanto a Silvio Berlusconi. Mentre gli assenteisti masticavano amaro e lo insultavano, la gente lo incitava per strada: «continui così». E qualche suo collega «rosicava».
Un anno dopo il ministro già più amato dagli italiani si appresta ad affrontare un autunno con qualche insidia in più, e non certamente a causa di sondaggi meno generosi. Che i suoi rapporti con il ministro dell'Economia Giulio Tremonti siano complessi non è affatto un mistero: lo sono da tempo, anche da prima che i due si ritrovassero insieme al governo. Più recenti, e collegate alla sua azione governativa, sono invece le insofferenze che altri ministeri (certamente non il suo), e altri ministri, manifestano nei suoi confronti.
Malignando che la strategia brunettiana abbia prodotto finora soprattutto annunci sensazionali a mezzo stampa. Culminati nella pubblicazione del libro «Rivoluzione in corso », che qualche invidia pure l'ha suscitata.
Alle critiche lui ha sempre ribattuto con i dati che dimostrerebbero un calo a precipizio dell'assenteismo, ridottosi del 30% anche soltanto come effetto degli annunci. Il fatto è che decisioni sacrosante, come quella di non consentire la nomina a dirigente generale per coloro che distano dalla pensione meno di tre anni ha mandato letteralmente su tutte le furie le alte sfere della burocrazia, abituate a promuovere i fedelissimi pochi mesi prima del pensionamento per farli uscire dal ministero con la pensione dorata. Per modificare quella norma sarebbe intervenuta perfino la Ragioneria dello Stato. Né è stata del tutto digerita la disposizione per mandare in pensione chi ha raggiunto i quarant'anni di contributi.
Ma Brunetta deve fronteggiare anche la rivolta dei travet, che non accenna a placarsi dopo il taglio della parte variabile della retribuzione in caso di malattia. Tanto più che la mannaia sui dirigenti, spesso i veri responsabili della scarsa efficienza della pubblica amministrazione, non è ancora calata. Tutto questo mentre del regolamento che dovrebbe stabilire quali alti papaveri pubblici devono essere sottoposti al tetto degli stipendi fissato dal governo di Romano Prodi, e che doveva essere pronto entro il 31 ottobre 2008, ancora nessuna notizia. «Ora li staneremo», ha promesso alla fine di luglio, riferendosi ai dirigenti responsabili delle inefficienze, il ministro a Vittorio Zincone sul «Magazine» del Corriere.
Ricordando il prossimo varo di un organismo per la valutazione dei servizi. Un'idea nata in seguito alla proposta avanzata dal giuslavorista Pietro Ichino, ora senatore del Partito democratico, ma la cui attuale formulazione ha lasciato alquanto deluso anche chi, nel centrosinistra, aveva sostenuto senza riserve la crociata del ministro. Fatto sta che quella che doveva essere nelle intenzioni un'autorità indipendente vera e propria è diventato un organismo gestito in condominio da Brunetta e Tremonti. Circostanza che avrebbe snaturato il progetto. «L'apparato sta frenando la sua riforma», commentava già alla fine dello scorso aprile lo stesso Ichino, lasciando intendere che Brunetta avrebbe le mani legate.
Osservazione rigettata dal ministro, che deve tuttavia fare i conti non soltanto con i sindacati «conservatori », i burocrati colpiti nella pensione, i consulenti che si sono visti pubblicare i compensi online, e i dipendenti inferociti. C'è anche chi gli rema contro nel suo stesso schieramento. Un mese fa, per esempio, si è scoperto l’emendamento di un senatore del suo partito che avrebbe cancellato la norma della trasparenza totale, quella secondo cui i cittadini dovrebbero poter conoscere con un semplice clic sul mouse del computer vita, morte e miracoli dei dirigenti pubblici. Lui ci ha messo una pezza, ma è chiaro che quella norma non avrà vita facile. Insomma, ce n'è abbastanza perché qualcuno interpreti la singolare «aspirazione» a fare il sindaco di Venezia, che il ministro ha recentemente espresso, come un auspicio.
Fonte: Corriere.it
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ROMA — «Io, povero, non bello e non ricco, ho fatto il c... al mondo e sono la Lorella Cuccarini del governo Berlusconi». Esattamente un anno fa Renato Brunetta completava questi concetti espressi in una intervista a «Gente» definendosi «il più amato dagli italiani».
Volava nei sondaggi, il ministro della Pubblica amministrazione, dopo aver dichiarato guerra ai fannulloni: secondo per popolarità soltanto a Silvio Berlusconi. Mentre gli assenteisti masticavano amaro e lo insultavano, la gente lo incitava per strada: «continui così». E qualche suo collega «rosicava».
Un anno dopo il ministro già più amato dagli italiani si appresta ad affrontare un autunno con qualche insidia in più, e non certamente a causa di sondaggi meno generosi. Che i suoi rapporti con il ministro dell'Economia Giulio Tremonti siano complessi non è affatto un mistero: lo sono da tempo, anche da prima che i due si ritrovassero insieme al governo. Più recenti, e collegate alla sua azione governativa, sono invece le insofferenze che altri ministeri (certamente non il suo), e altri ministri, manifestano nei suoi confronti.
Malignando che la strategia brunettiana abbia prodotto finora soprattutto annunci sensazionali a mezzo stampa. Culminati nella pubblicazione del libro «Rivoluzione in corso », che qualche invidia pure l'ha suscitata.
Alle critiche lui ha sempre ribattuto con i dati che dimostrerebbero un calo a precipizio dell'assenteismo, ridottosi del 30% anche soltanto come effetto degli annunci. Il fatto è che decisioni sacrosante, come quella di non consentire la nomina a dirigente generale per coloro che distano dalla pensione meno di tre anni ha mandato letteralmente su tutte le furie le alte sfere della burocrazia, abituate a promuovere i fedelissimi pochi mesi prima del pensionamento per farli uscire dal ministero con la pensione dorata. Per modificare quella norma sarebbe intervenuta perfino la Ragioneria dello Stato. Né è stata del tutto digerita la disposizione per mandare in pensione chi ha raggiunto i quarant'anni di contributi.
Ma Brunetta deve fronteggiare anche la rivolta dei travet, che non accenna a placarsi dopo il taglio della parte variabile della retribuzione in caso di malattia. Tanto più che la mannaia sui dirigenti, spesso i veri responsabili della scarsa efficienza della pubblica amministrazione, non è ancora calata. Tutto questo mentre del regolamento che dovrebbe stabilire quali alti papaveri pubblici devono essere sottoposti al tetto degli stipendi fissato dal governo di Romano Prodi, e che doveva essere pronto entro il 31 ottobre 2008, ancora nessuna notizia. «Ora li staneremo», ha promesso alla fine di luglio, riferendosi ai dirigenti responsabili delle inefficienze, il ministro a Vittorio Zincone sul «Magazine» del Corriere.
Ricordando il prossimo varo di un organismo per la valutazione dei servizi. Un'idea nata in seguito alla proposta avanzata dal giuslavorista Pietro Ichino, ora senatore del Partito democratico, ma la cui attuale formulazione ha lasciato alquanto deluso anche chi, nel centrosinistra, aveva sostenuto senza riserve la crociata del ministro. Fatto sta che quella che doveva essere nelle intenzioni un'autorità indipendente vera e propria è diventato un organismo gestito in condominio da Brunetta e Tremonti. Circostanza che avrebbe snaturato il progetto. «L'apparato sta frenando la sua riforma», commentava già alla fine dello scorso aprile lo stesso Ichino, lasciando intendere che Brunetta avrebbe le mani legate.
Osservazione rigettata dal ministro, che deve tuttavia fare i conti non soltanto con i sindacati «conservatori », i burocrati colpiti nella pensione, i consulenti che si sono visti pubblicare i compensi online, e i dipendenti inferociti. C'è anche chi gli rema contro nel suo stesso schieramento. Un mese fa, per esempio, si è scoperto l’emendamento di un senatore del suo partito che avrebbe cancellato la norma della trasparenza totale, quella secondo cui i cittadini dovrebbero poter conoscere con un semplice clic sul mouse del computer vita, morte e miracoli dei dirigenti pubblici. Lui ci ha messo una pezza, ma è chiaro che quella norma non avrà vita facile. Insomma, ce n'è abbastanza perché qualcuno interpreti la singolare «aspirazione» a fare il sindaco di Venezia, che il ministro ha recentemente espresso, come un auspicio.
Fonte: Corriere.it
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