Il presidente del Senato chiede 720.000 euro di risarcimento per le inchieste pubblicate dal quotidiano. La direzione risponde: "Le indagini giornalistiche proseguono, noi non ci faremo intimidire".
Il presidente del Senato, Renato Schifani, ci ha notificato ieri una citazione civile con cui domanda 720 mila euro di risarcimento per le inchieste giornalistiche che lo riguardavano da noi pubblicate. La somma richiesta è superiore al nostro capitale sociale, ma noi non ce ne lamentiamo. Schifani, al pari di qualsiasi altro cittadino, se si ritiene diffamato ha il diritto di rivolgersi al Tribunale per veder riconosciute le proprie ragioni. Anche se, dopo aver letto le 54 pagine della citazione, dobbiamo confessare la nostra sorpresa: nonostante gli sforzi non abbiamo ancora capito quali delle notizie riportate su il Fatto Quotidiano non siano vere. A questo punto chi ha ragione e chi ha torto non lo potrà che stabilire il giudice.
Certo, avremmo preferito che il presidente Schifani, proprio per l'importante incarico pubblico da lui ricoperto, avesse risposto alle numerose e-mail contenenti dettagliate richieste di chiarimenti che gli abbiamo inviato prima di scrivere ogni pezzo. E ora ci saremmo aspettati almeno una querela penale che, da una parte, avrebbe consentito al pubblico ministero di svolgere autonomamente indagini sui fatti contenuti negli articoli in maniera più ampia rispetto a quanto si può fare in sede civile. E che, dall'altra, sarebbe potuta sfociare, in caso di un nostro rinvio a giudizio, in un dibattimento pubblico senz'altro interessante per chi vuol conoscere i trascorsi della seconda carica dello Stato.
In passato, quando Schifani era ancora il semplice capogruppo di Forza Italia al Senato, le cose andarono proprio in questo modo. Il nostro Marco Lillo, all'epoca a l'Espresso, pubblicò un'inchiesta sui soci di Schifani poi condannati per fatti di mafia o finiti sotto processo per altri reati. Il pm stabilì che ciò che Lillo aveva raccontato era vero e la querela fu archiviata. Per questo, dopo aver riletto l'atto di citazione, oggi pensiamo che la causa miri più che altro a mettere una spada di Damocle economica sulla testa di un giornale appena nato. Ma se le cose stanno così, i nostri lettori possono stare tranquilli. Già domani dalle colonne de il Fatto Quotidiano spiegheremo dettagliatamente perché, a nostro avviso, la citazione di Schifani non è basata su argomentazioni serie e degne di un presidente del Senato. E nei prossimi giorni racconteremo altre storie inedite sulla vita del senatore, prima e dopo il suo ingresso in politica. Notizie che l'opinione pubblica deve conoscere.
La citazione del presidente del Senato contro il Fatto (pdf 5,54 Mb)
Fonte: Antefatto.it
---Se hai trovato interessante l'articolo iscriviti ai feed via mail per rimanere sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog
Il presidente del Senato, Renato Schifani, ci ha notificato ieri una citazione civile con cui domanda 720 mila euro di risarcimento per le inchieste giornalistiche che lo riguardavano da noi pubblicate. La somma richiesta è superiore al nostro capitale sociale, ma noi non ce ne lamentiamo. Schifani, al pari di qualsiasi altro cittadino, se si ritiene diffamato ha il diritto di rivolgersi al Tribunale per veder riconosciute le proprie ragioni. Anche se, dopo aver letto le 54 pagine della citazione, dobbiamo confessare la nostra sorpresa: nonostante gli sforzi non abbiamo ancora capito quali delle notizie riportate su il Fatto Quotidiano non siano vere. A questo punto chi ha ragione e chi ha torto non lo potrà che stabilire il giudice.
Certo, avremmo preferito che il presidente Schifani, proprio per l'importante incarico pubblico da lui ricoperto, avesse risposto alle numerose e-mail contenenti dettagliate richieste di chiarimenti che gli abbiamo inviato prima di scrivere ogni pezzo. E ora ci saremmo aspettati almeno una querela penale che, da una parte, avrebbe consentito al pubblico ministero di svolgere autonomamente indagini sui fatti contenuti negli articoli in maniera più ampia rispetto a quanto si può fare in sede civile. E che, dall'altra, sarebbe potuta sfociare, in caso di un nostro rinvio a giudizio, in un dibattimento pubblico senz'altro interessante per chi vuol conoscere i trascorsi della seconda carica dello Stato.
In passato, quando Schifani era ancora il semplice capogruppo di Forza Italia al Senato, le cose andarono proprio in questo modo. Il nostro Marco Lillo, all'epoca a l'Espresso, pubblicò un'inchiesta sui soci di Schifani poi condannati per fatti di mafia o finiti sotto processo per altri reati. Il pm stabilì che ciò che Lillo aveva raccontato era vero e la querela fu archiviata. Per questo, dopo aver riletto l'atto di citazione, oggi pensiamo che la causa miri più che altro a mettere una spada di Damocle economica sulla testa di un giornale appena nato. Ma se le cose stanno così, i nostri lettori possono stare tranquilli. Già domani dalle colonne de il Fatto Quotidiano spiegheremo dettagliatamente perché, a nostro avviso, la citazione di Schifani non è basata su argomentazioni serie e degne di un presidente del Senato. E nei prossimi giorni racconteremo altre storie inedite sulla vita del senatore, prima e dopo il suo ingresso in politica. Notizie che l'opinione pubblica deve conoscere.
La citazione del presidente del Senato contro il Fatto (pdf 5,54 Mb)
Fonte: Antefatto.it
---Se hai trovato interessante l'articolo iscriviti ai feed via mail per rimanere sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog
Mi sembra giusto. Chiunque nel nostro paese che volesse far politica, deve essere trasperente sia per la vita privata che quella pubblica e rendere conto di tutti i soldi guadagnati per la carica ricoperta.
Oggi questo è fantapolitica purtroppo!
Giò.
L'unico vero esercizio della democrazia è rimasto sulla rete dove ognuno può ancora dire la propria opinione! Per contro il governo italiano si è trasformato in una oligarchia tirannica i cui membri esercitano un potere che tende ad eliminare ogni forma di dissenso! Qualunque soggetto che porti informazioni sullo stato dei tiranni,passato o presente è da combattere con tutte le forze e con tutti i mezzi "legali e non".Falcone e Borsellino insegnano!Io riprendo un vecchio appello: NON TOCCATE IL SOLDATO TRAVAGLIO!
Un politico non dovrebbe mai citare in giudizio o querelare un giornale. A meno che non si sia in presenza di serie diffamazioni ed offese. Tanto meno lo dovrebbe fare il presidente del senato: la seconda carica dello Stato. E, nell'ipotesi di tali reati, non si capisce perché questi abbia fatto ricorso al tribunale civile (per un risarcimento) e non alla Procura della Repubblica. Purtroppo, circa la libertà di stampa, si riceve l'impressione che questo paese si stia incamminando verso un declino pericoloso.
Di questo passo, i mafiosi ce li ritroveremo tutti al governo, alla faccia della legalità! ci sono persone che per un euro finiscono in carcere, altre che grazie a chissà chi, invece entrano nelle cariche dello stato e si proteggono con l'impunità alla faccia della legge che ormai non é più uguale per tutti.
Se si sente diffamato è giusto che agisca nel modo che ritiene più opportuno.
Certo che se un giornale vuole farsi pubblicità sperando che qualcuno lo denunci penalmente....
Se pensate di fare qualcosa di buono continuate a farlo e basta senza cercare la solidarietà di nessuno.
Se le vostre inchieste sono serie e mirano solo a far conoscere la verità sarà comunque un giudice a stabilirlo.
Non vedo di cosa dobbiate avere paura!
Ma nooo! Non avete ancora capito che per il pdl il vero reato è parlarne, non commetterlo! Quindi mi sa che secondo il nuovo corso inaugurato dal governo delle meraviglie dove tutto gira al contrario il bianconiglio e il cappellaio matto vi condanneranno...