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Zavoli: "La credibilità è crollata in Rai, non si rispettano autonomia e qualità"


ROMA - Il caso Ruffini 1 è solo la punta dell'iceberg. La Rai è ormai "una pulzella promessa" che dice sì "alle pretese di tutti i pretendenti". La commissione di Vigilanza vede "distorti" da Viale Mazzini i suoi atti di indirizzo e viene da chiedersi se "la sua autorevolezza possa risolversi in un rito esortativo". Il quadro descritto da Sergio Zavoli, popolarissimo giornalista tv, senatore del Pd e presidente della commissione parlamentare che vigila sulla Rai, ha contorni drammatici. Con la gestione dell'attuale centrodestra, la tv di Stato non rispetta più niente: la sua autonomia, la sua capacità di critica, "neppure i vecchi, prudenti linguaggi".

Una delibera del cda disattesa, una soluzione che non accontenta nessuno. E Ruffini dice: contro di me c'è una discriminazione politica. È così?
"In Rai c'era e c'è un problema di fondo: l'assenza, o l'imperfezione, o il rifiuto della regola. La quale viene prima del consenso. Ne consegue che il pacta sunt servanda, così spesso trasgredito, rischia d'essere una citazione sapienziale ormai a buon mercato. Ma nel caso nostro va anche detto che quando i patti non sono rispettati la prima causa cui doversi richiamare non è tanto la regola quanto l'idea che un "servizio pubblico" - ignorando la doverosità, la puntualità e la funzionalità del suo compito - possa impunemente tradursi in un grave danno inferto alla credibilità dell'istituzione".

Ruffini ha avuto una collocazione adeguata?
"La sua è una vicenda che nessuna grande organizzazione imprenditoriale può permettersi: ciò che è successo si sottrae a valutazioni di principio, men che meno manageriali. È la licenza di un'azienda che sta smarrendo una sua autonoma facoltà critica".

Sia lei sia Paolo Garimberti, presidenti di garanzia, avete molte difficoltà ad esercitare le vostre funzioni. Quale ruolo può avere la minoranza schiacciata dalla logica dei numeri?
"Poter esercitare un legittimo potere con la forza dei numeri non esclude affatto il coinvolgimento dell'opposizione. Non ricorro all'abusato argomento della dittatura delle maggioranze: mi limito a dire che rinunciare all'allargamento del consenso è una pregiudiziale abdicazione a un ulteriore tasso di democrazia, che conferirebbe un'aria di vaga infondatezza al proposito di coinvolgere l'opposizione nelle riforme".

Basterebbe una riforma della Rai per tirar fuori la politica da Viale Mazzini?
"Per tirar fuori la politica dalla Rai - s'intende dall'occupazione dell'azienda - occorre cominciare da una Rai che voglia tirarsi fuori da una sua ormai insostenibile, paradossale contraddizione. Questa è radicata nella più comoda e reciproca delle garanzie: il compromesso - poco nobile intellettualmente, culturalmente, aziendalmente - rinnovabile a ogni cambio di governo attraverso il citatissimo spoil system, ma soprattutto quella ingegneria combinatoria che si chiama "lottizzazione", la più pigra e matematica delle soluzioni adottate con il consenso dell'azienda. Il pluralismo non è una somma di "legittime faziosità". Perciò la storia e il prestigio della Rai meritano un colpo d'ala anche al suo interno. Comunque, il primo passo spetta alla politica. Dovrà opporsi all'idea ormai invalsa di un'azienda che non rispecchi i principi dell'autonomia e della responsabilità, della competenza e della qualità".

La commissione non ha gli strumenti per intervenire?
"Le giro io un'altra domanda: è ragionevole credere che la Commissione possa fare un "miracolo" al giorno (tranne quando la disputa partitica obbedisce a specialissimi input, come è successo di recente nella controversia sui talk show) se, non avendo poteri vincolanti, il suo indirizzo può essere disatteso dall'azienda, oppure distorto, vanificando così ogni effetto riparatore della commissione? Noi abbiamo fatto dei seminari e caveremo dei materiali per rispondere ai problemi della qualità e del pluralismo. Ma si pone un legittimo interrogativo sull'autorevolezza di un organismo parlamentare, per giunta bicamerale, che non può certo risolvere il suo ruolo in un rito esortativo".

Al Tg1 i giornalisti sono sul piede di guerra contro Minzolini, le intercettazioni di Trani dimostrano le pressioni del Cavaliere sulla Rai. È la notte della tv di Stato?
"Andiamo con ordine. La più grande testata italiana, sottoposta a varie scosse telluriche, rinunciando alla sua tradizionale struttura ha visto trasformare, insieme con la sua identità, una parte dell'ascolto tradizionale. Intercettazioni: voglio credere che il ministro Alfano sia disposto a ripensare le norme del suo disegno di legge, in discussione al Senato, lesive della libertà di cronaca e del diritto-dovere di informare. Trani: quelle telefonate si commentano da sole, non occorre che aggiunga altro, se non una personale amarezza".

Fonte: Repubblica.it

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