PALERMO (1° febbraio) - «Nel 1990 mio padre si fece annullare l'ordine di carcerazione grazie ai rapporti che aveva in Cassazione». L'ha detto, al processo al generale dei carabinieri Mario Mori, Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo. Il teste ha fatto esplicito riferimento, come autorità giudiziaria che annullò la misura, la prima sezione della Cassazione all'epoca presieduta dal giudice Corrado Carnevale.
«Mio padre mi disse che Bernardo Provenzano godeva di una sorta di immunità territoriale per cui, anche da latitante, poteva muoversi liberamente - ha aggiunto Ciancimino - Questa immunità secondo quanto mi ha spiegato mio padre era garantita da una sorta di accordo alla stipula del quale aveva partecipato proprio mio padre. Accordo che risale al maggio del '92».
Diedi a mio padre papello Riina. «Consegnai a mio padre il papello con le richieste della mafia allo Stato. A me l'aveva dato, il 29 giugno del '92, il medico Antonino Cinà, che l'aveva ricevuto da Totò Riina», ha poi specificato Ciancimino sul famoso papello, secondo lui partorito dalla mente di Riina, ma scritto da altri, che sarebbe stato la risposta del boss alla proposta fattagli dal Ros dei carabinieri, per il tramite dell'ex sindaco. I militari chiedevano alla mafia la resa incondizionata dei latitanti e Riina - a dire di Ciancimino - replicava con il papello in cui si chiedevano, tra l'altro, benefici per i capimafia detenuti. Secondo l'ex sindaco il papello avrebbe contenuto proposte irricevibili tanto che Ciancimino senior esclamò: «La solita testa di minchia di Riina».
Rognoni e Mancino informati su trattativa con stato. «Rognoni e Mancino erano stati informati del dialogo intrapreso da mio padre con l'allora colonnello Mario Mori. Me lo disse mio padre che lo aveva appreso da un esponente dei servizi segreti. Mio padre ne parlo anche con l'allora capitano Giuseppe De Donno».
Provenzano autorizzò mio padre a trattare. «Mio padre prima di accettare un incontro con i carabinieri del Ros chiese l'autorizzazione a Bernardo Provenzano e a un agente dei servizi che si chiamava Franco. Solo dopo il loro sì potemmo organizzare gli appuntamenti», ha proseguito Ciancimino. L'uomo ha riferito che suo padre incontrò Mori, all'epoca vicecomandante del Ros, e il comandante Giuseppe De Donno tre volte prima del 29 giugno del '92 e una volta prima del 19 luglio, data della strage di via D'Amelio. A chiedere un incontro con l'ex sindaco era stato De Donno alla fine di maggio del '92, dopo l'eccidio del giudice Falcone. Secondo il testimone, attraverso il padre i carabinieri cercavano un canale diretto con i vertici di Cosa nostra. Ma l'ex sindaco, pur non sottraendosi agli incontri, non vedeva di buon occhio l'iniziativa dei carabinieri che sarebbe stata «un modo per accreditare la strategia sanguinaria di Totò Riina. A proposito dei contenuti dei primi incontri mio padre mi disse che i carabinieri proponevano una resa incondizionata dei latitanti mafiosi e in cambio assicuravano trattamenti di favore ai loro familiari».
Soldi di mio padre investiti a Milano 2. «Parte del denaro di mio padre, negli anni 70, fu investito in una grossa operazione edilizia realizzata nella periferia di Milano chiamata Milano 2», ha anche detto Massimo Ciancimino. Secondo il testimone l'ex sindaco, convinto a fare l'investimento dagli imprenditori Nino Buscemi e Franco Bonura, che chiamava "i gemelli", inizialmente non era entusiasta del nuovo business, ma poi avrebbe finito per accettare.
Dopo Lima, Riina voleva uccidere altri politici. «A fine marzo del '92, dopo l'omicidio dell'onorevole Lima, Bernardo Provenzano disse a mio padre che Totò Riina aveva intenzione di togliersi qualche sassolino nella scarpa e di fare capire ad altri politici cosa significava non rispettare i patti». Secondo Provenzano Riina, aveva una lista di politici e magistrati da eliminare: «Grasso, Vizzini, Mannino. Soggetti che, per motivi differenti, dovevano essere uccisi. Mio padre seppe da Provenzano che erano cambiati gli interlocutori di Riina e che i suoi nuovi referenti erano d'accordo con lui nella strategia di cambiamento che stava portando avanti anche attraverso l'eliminazione di rami secchi».
Il giudice Carnevale: non ricordo ma non escludo di essermi occupato di Ciancimino. «Non ricordo di essermi occupato di questo caso. Non ricordo ma non escludo. Arrivavo a fare otto udienze al mese ed in ogni udienza trattavamo una trentina di ricorsi, se li ricordassi tutti avrei più memoria di Pico della Mirandola». Corrado Carnevale commenta così, all'Adnkronos, quanto affermato oggi da Ciancimino. Lo stesso Ciancimino junior ha spiegato al Tribunale che la sezione della Cassazione che emise il provvedimento di annullamento era la prima, presieduta all'epoca da Corrado Carnevale. Un'indicazione non dirimente, sottolinea in pratica Carnevale aggiungendo: «Sono stato presidente titolare della prima sezione penale dal dicembre del 1985 al dicembre del 1992. Come presidente titolare presiedevo i collegi che in base alle tabelle dovevano essere presieduti da me ma non presiedevo tutti i collegi della sezione, ove vi erano altri quattro presidenti, non ricordo di essermi occupato di Ciacimino senior. Non ho nulla da aggiungere -conclude Carnevale- anche perchè com'è notorio sono stato sottoposto a procendimento penale per concorso esterno ad associazione mafiosa, anche a Palermo, e poi assolto in Cassazione perchè il fatto non sussiste. Sono stato riammesso e ora presiedo una sezione civile in Cassazione».
Ghedini annuncia querela. «Le dichiarazioni di Ciancimino su Milano Due sono del tutto prive di ogni fondamento fattuale e di ogni logica, e sono smentibili documentalmente in ogni momento - afferma in una nota Niccolò Ghedini, avvocato di Silvio Berlusconi - Tutti i flussi finanziari di Milano Due, operazione immobiliare che ancor oggi è da considerarsi una delle migliori realizzazioni nel nostro paese sono più che trasparenti e sono stati più volte oggetto di accurati controlli e verifiche. Tutte le risultanze hanno dimostrato la provenienza assolutamente lecita di tutto il denaro impiegato. Argomentare gli asseriti finanziamenti mafiosi è evidentemente diffamatorio, il che sarà facilmente comprovabile nelle appropriate sedi giudiziarie».
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