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Geronzi verso le Generali il potere economico si blinda


Nel capitalismo italiano c'è una "bomba" innescata. Se esplodesse rivoluzionerebbe in modo profondo, anche se gattopardesco, la fisionomia del potere economico del Paese. Nella prossima primavera Cesare Geronzi potrebbe diventare presidente delle Generali. Con la soddisfazione dei "soliti noti" del Salotto Buono, che possono continuare a dormire sonni tranquilli al riparo dei patti di sindacato e a dispetto dei conflitti di interesse. E con la benedizione di Silvio Berlusconi, che può contare su un riassetto dell'establishment per lui tutt'altro che sfavorevole. Se n'era parlato più volte, dopo l'estate. Poi l'ipotesi era stata accantonata. Ora è invece tornata d'attualità, nei palazzi che contano a Roma e a Milano. Anche se, con ogni probabilità, i diretti interessati la smentiranno. Il momento è propizio. L'opinione pubblica è distratta. Da una parte le faide sulle regionali e lo scontro sulla giustizia. Dall'altra la grottesca "corrida spagnola" su Telecom, che adesso il governo di centrodestra sta per vendere sottobanco a Telefonica, dopo aver costruito nel 2008 una campagna elettorale populista e sciovinista per salvare l'Alitalia "tricolore".

Nel frattempo, le "casematte" della finanza si riorganizzano. Per consolidare gli assetti azionari, e tenere lontani gli outsider. Per conservare gli organigrammi, e garantire le catene di comando.
Geronzi, dunque, si prepara all'"arrocco" perfetto. La prima mossa, nella grande scacchiera del credito, fu la "variante di Luneburg": nel maggio 2007 lascia Roma e se ne va a Milano. "Sacrifica" il suo pezzo più pregiato, Capitalia (creatura plasmata attraverso la fusione da Prima Repubblica tra Cassa di Risparmio, Banco di Roma e Banco di Santo Spirito) per approdare a Mediobanca. Ascende al trono che fu del Grande Vecchio del capitalismo italiano, Enrico Cuccia, e apre la partita a nuovi scenari, nuove combinazioni. Ora potrebbe scattare la seconda mossa. Per salvare se stesso, e per blindare gli equilibri di un sistema finanziario sempre più cristallizzato, sarebbe pronto a fare un altro salto. Lasciare Milano, e andarsene a Trieste. Al vertice della più grande compagnia d'assicurazione italiana, una delle "prede" più ambite per la finanza internazionale.

Tutto ruota intorno ai suoi problemi giudiziari. L'attuale presidente di Mediobanca è stato prosciolto per il crac Federconsorzi. È stato assolto in appello per il crac Italcase, dopo esser stato condannato in primo grado. È indagato per usura aggravata e concorso in bancarotta fraudolenta per il crac Parmalat-Ciappazzi, e il processo in corso a Parma è molto insidioso. È stato rinviato a giudizio per estorsione e bancarotta societaria per il filone Eurolat, e il processo è stato trasferito a Roma. È indagato per frode nel crac Cirio. La sua posizione di banchiere, che presuppone precisi requisiti di onorabilità, diventerebbe insostenibile se qualcuno dei procedimenti in corso dovesse portare ad un'altra condanna. La legge bancaria non perdona, secondo la declinazione severa del governatore della Banca d'Italia Draghi. Nelle assicurazioni la legislazione è più lasca. Per questo Geronzi, smentendo tutto in pubblico, da mesi in privato si tiene aperta la porta delle Generali. Nella compagnia del Leone Alato il presidente attuale è Antoine Bernheim, un signore di 83 anni suonati che viene dalla Banque Lazard del mitico Andrè Meyer. Non proprio un ragazzino, anche se in teoria dovrebbe restare in carica anche il prossimo anno. Ma nessuno gli ha assicurato la riconferma, come ha detto lui stesso ai primi di settembre. Qualche amico, oltrefrontiera, gli ha dato una mano. L'11 settembre Emilio Botin, presidente del Banco Santander azionista di Generali con lo 0,3%, ha azzardato: "Per me Bernheim è un presidente fantastico". Il 18 settembre Vincent Bollorè, azionista di Mediobanca, ha ribadito "Antoine è un ottimo presidente".

Ma i grandi azionisti italiani, quelli che decidono sul serio, hanno taciuto tutti. E ora, da Trieste, una fonte qualificata conferma: "Il destino di Bernheim è segnato". All'assemblea di primavera, suo malgrado, l'ottuagenario Bernheim se ne andrà in pensione. "Antoine si metta l'anima in pace - dicono fonti vicine alla compagnia - quel posto è di Geronzi". Questo avrebbe deciso il patron di Mediobanca, insieme agli amici del Salotto Buono. Così il primo eviterebbe contraccolpi di natura giudiziaria, e i secondi preverrebbero fastidi di origine finanziaria. Ma come in ogni partita a scacchi, una mossa ne innesca molte altre. L'intreccio azionario della vecchia Galassia del Nord è micidiale. È impossibile muovere una pedina senza che l'intera scacchiera si metta in movimento. E così, se Geronzi andasse in Generali, lascerebbe sguarnita la poltrona di Mediobanca. E Piazzetta Cuccia è il cuore del sistema, la cassaforte dov'è racchiuso quel tanto o poco che ancora conta in Italia.

Mediobanca, con una quota del 14,75%, è il primo azionista di Generali. Con un 14,2% di capitale è anche primo azionista nel patto di sindacato Rcs Mediagroup (con la Fiat, la Pirelli, le stesse Generali, Intesa San Paolo, Fonsai, Italmobiliare e Dorint) e insieme a Generali controlla Telecom, con un 11,6% detenuto nella holding Telco. A sua volta Generali, con un 2% controllato direttamente e un altro 2% attraverso le partecipate, è uno dei soci forti del patto di sindacato Mediobanca. È secondo azionista di Banca Intesa con oltre il 5%, dopo la Compagnia di San Paolo e insieme ai francesi di Credit Agricole, e partecipa al patto di sindacato di Pirelli con il 4,4%, insieme alla stessa Mediobanca, alla stessa Intesa San Paolo e alla Fonsai di Ligresti.
Un groviglio spaventoso, dove i controllati controllano i controllanti, e ovviamente viceversa. Per questo, per un Geronzi che traslocasse a Trieste, ci sarebbe bisogno di un presidio sicuro a Milano. E qui, secondo fonti finanziarie milanesi, entrerebbe in partita Marco Tronchetti Provera, attuale vice di Geronzi insieme a Dieter Rampl (in quota Unicredit). Nel rito geronziano toccherebbe a lui il passaggio da presidente della Pirelli (controllata da Mediobanca-Generali e a sua volta azionista di Mediobanca) a presidente di Piazzetta Cuccia. "Per l'establishment sarebbe la scelta più sicura - dice un banchiere - perché arrivando da una Pirelli non proprio in salute garantirebbe tutti i soci forti della Galassia e rimetterebbe in gioco lui dopo i guai di Telecom". Sarebbe un doppio salto mortale. Oltre tutto, a quanto si sa, per niente gradito a Draghi. Ma bastano i dubbi di Via Nazionale a bloccare questi numeri da circo? Lo show-down, oltre tutto, non si fermerebbe qui. Geronzi, stavolta secondo fonti romane, benché traslocato a Trieste nel più ricco e prestigioso "satellite" della Galassia, vorrebbe continuare ad esserne il centro. Per questo starebbe orchestrando un'operazione ancora più ambiziosa, ancorché macchinosa. Mediobanca annacquerebbe la sua quota in Generali, per far posto nel patto di sindacato ai francesi di Axa (secondo colosso assicurativo europeo) ai quali cederebbe una parte delle sue azioni (ora pari al 2%) anche Francesco Gaetano Caltagirone. Così Geronzi sarebbe più forte e più autonomo. C'è chi dice addirittura al punto di portare in dote alle Generali un maxi-accordo con gli americani di Aig. Ma ci sarebbe una contropartita anche per Caltagirone: per ricambiare il favore fatto ad Axa, i francesi di Suez-Gdf toglierebbero il disturbo da Acea (a sua volta partecipata da Generali con l'1,9%) lasciando definitivamente campo libero nel settore delle acque al costruttore romano, tuttora tra i più "liquidi" in circolazione. Non può essere un caso se, proprio in questi giorni, il sindaco di Roma Alemanno, smentendo clamorosamente quello che aveva giurato un anno fa, ha annunciato l'intenzione del Comune di cedere la quota del 20% detenuta in Acea a "imprenditori legati al territorio". E chi altri, se non Caltagirone, il suocero di Pierferdinando Casini che alle regionali del Lazio venderà il suo pane, guarda caso, al forno della Pdl per sostenere Renata Polverini?

Così si chiuderebbe la partita. Il Sistema sarebbe al sicuro. È a dir poco "barocco". Può esistere solo in un Paese come l'Italia. Tende a preservare se stesso. Ma è un sistema che conviene a molti. A chi ne fa parte (come imprenditore) e a chi se ne serve (come politico). Per questo Berlusconi avallerebbe l'intera operazione di Geronzi su Generali e Mediobanca attraverso Gianni Letta, che in questi mesi non ha mai interrotto i contatti con "l'amico Cesare". Senza considerare che il Cavaliere, in Piazzetta Cuccia, ha ormai un peso fortissimo: è nel patto di sindacato con un 1% intestato direttamente a Fininvest (che per questo un anno fa ha potuto piazzare in cda la sua "presidentessa" Marina, primogenita di Silvio) e un 3,3% controllato attraverso la Mediolanum di Ennio Doris.

Nel blocco di potere politico-economico-finanziario che si cementa nel triangolo Roma-Milano-Trieste tutto si tiene. Completato l'"arrocco", Geronzi e le sue pedine, dietro la regia interessata di Palazzo Grazioli, finirebbero per avere in mano un "caveau" nel quale sono custoditi, nell'ordine, uno dei più grandi giganti assicurativi d'Europa (Generali), la prima merchant bank italiana (Mediobanca), una delle prime due banche commerciali del Paese (Intesa San Paolo), la rete delle telecomunicazioni e il broadband (via Telecom e Pirelli), uno dei primi due giornali nazionali (il Corriere della Sera), le costruzioni (gruppo Ligresti), i servizi idrici ed energetici (Acea). Sarà per questo che chi sembra coltivare progetti alternativi alla Galassia (Luca di Montezemolo) o chi per scelta ne è sempre più ai margini (Alessandro Profumo) viene visto come una "minaccia". E sarà per questo che chi coltiva progetti per il dopo-Berlusconi, come Giulio Tremonti, sta mettendo in piedi un blocco di contro-potere misto, metà pubblico e metà privato, che spazia dalle banche locali alla futura Banca del Sud, dalla Cassa depositi e prestiti alle Poste, dalla Consip alla moltiplicazione delle Spa di Stato nella Difesa e nella Protezione Civile. Ma sarà molto difficile scalfire l'acciaio col quale l'establishment del Grande Nord protegge se stesso e sorregge l'"ordine politico costituito". Alla faccia delle "élite che complottano" contro il Cavaliere, e dei "Poteri Forti che congiurano" contro il governo.

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