"Non fu una sola la trattativa fra Stato e mafia fra il 1992 e il 1993". Massimo Ciancimino torna a deporre nell'aula buker dove il generale del Ros Mario Mori è accusato di aver favorito la latitanza di Bernardo Provenzano e accusa: "A un certo punto, nel dicembre '92 mio padre fu arrestato. Riteneva che fosse una trappola dei carabinieri, che ormai avevano avuto da Bernardo Provenzano, nostro tramite, le carte utili per giungere all'arresto di Riina. Mio padre diceva che la trattativa stava proseguendo. Mi fece un nome, quello di Marcello Dell'Utri".
Nel secondo giorno di deposizione del figlio dell'ex sindaco di Palermo si parla dell'arresto di Totò Riina. "Dopo la strage di via d'Amelio - dice Massimo Ciancimino davanti ai giudici della quarta sezione del tribunale di Palermo - mio padre mi spinse a riprendere i contatti con i carabinieri, il colonnello Mori e il capitano De Donno. Concordammo un nuovo incontro che avvenne nell'appartamento romano di mio padre, nei pressi di piazza di Spagna, tra il 25 e il 26 agosto. Ho un documento che prova quell'appuntamento - aggiunge Ciancimino -. In quel momento, cambiava totalmente l'oggetto del dialogo fra mio padre e gli ufficiali dell'Arma rispetto alla prima trattativa. Nel momento in cui si percepiva chiara la ferocia di Cosa nostra, mio padre reputava infatti interrotto qualsiasi tipo di rapporto con Salvatore Riina. I carabinieri chiesero allora di poter catturare Riina, non Provenzano, perché loro sapevano che Provenzano era un interlocutore privilegiato di mio padre . I carabinieri sapevano che per potere giungere a Riina avevano bisogno di mio padre".
Il pubblico ministero Nino Di Matteo chiede: "I carabinieri erano informati che per giungere alla cattura di Riina suo padre avrebbe dovuto rapportarsi con Provenzano?". Ciancimino risponde: "Sì, anche perché mio padre non sapeva certo dove si trovasse Riina, da tempo non lo vedeva".
Il pm torna a chiedere: "I carabinieri sapevano che suo padre si vedeva con Provenzano per arrestare Riina?". La risposta: "Certo, mio padre aveva detto subito che per mettere fine alla latitanza di Riina bisognava fare una certa strada". Di Matteo: "Non fu mai chiesto dai carabinieri l'arresto di Provenzano?". Ciancimino: "No mai".
Negli incontri dopo la strage di via d'Amelio ("fra il 25 agosto e novembre") Vito Ciancimino avrebbe chiesto ai carabinieri che di quella seconda trattativa fosse informato Luciano Violante, intanto diventato presidente della commissione antimafia. "Mio padre chiedeva che Violante fosse agganciato perché era vicino alla magistratura, in particolare a certi giudici comunisti".
Secondo la ricostruzione di Massimo Ciancimino, sarebbero state passate delle mappe di Palermo all'entourage di Provenzano: "Erano in due tubi gialli, con dei fogli A3 - spiega il teste - furono poi restituite tramite me ai carabinieri. In quelle mappe era cerchiata una zona e segnate alcune utenze telefoniche, dell'acqua e del gas".
Vito Ciancimino avrebbe poi chiesto un passaporto di copertura ai carabinieri, per incontrare all'estero Provenzano, in Germania. Ma il 19 dicembre, Vito Ciancimino venne arrestato, per scontare un residuo di pena. "Mio padre mi disse: è stata una trappola dei carabinieri, adesso che hanno le carte utili per arrestare Riina vogliono togliermi di mezzo".
Vito Ciancimino e il figlio commentarono poi in carcere l'avvenuto arresto di Riina. "Lui riteneva che la mancata perquisizione del covo fosse stata una sorta di onore alle armi per il capomafia", spiega Massimo Ciancimino: "Mio padre mi disse che Riina si vantava del suo archivio: con queste carte può crollare l'Italia, diceva. Mio padre era convinto soprattutto che dopo di lui qualcuno aveva proseguito la trattativa con i carabinieri. Marcello Dell'Utri".
Dopo una breve pausa l'interrogatorio di Massimo Ciancimino riprende con le domande del pubblico ministero Antonio Ingroia. Si parla dei sette pizzini che il figlio dell'ex sindaco ha consegnato in questi mesi ai magistrati di Palermo: "Arrivavano tutti da Provenzano - dice Massimo Ciancimino - ero io a prenderli, direttamente da lui, o dai sui collaboratori. Erano sempre in busta chiusa. Mio padre li apriva con dei guanti di lattice, per evitare di lasciare impronte compromettenti. Poi, li fotocopiava".
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