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Per la DIA pronta un autobomba contro il giudice Lari

...un’autobomba, come il giudice Carlo Palermo, scampato per un soffio a Trapani nel 1985 ad un attentato che costò la vita ad una donna e ai due figlioletti. Un’operazione facile, visto che il bersaglio, il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, nell’estate scorsa, non aveva neppure una scorta. Adesso, dopo che due relazioni della Dia hanno denunciato la ripresa della strategia stragista di Cosa Nostra e di chi se ne serve , al capo della procura più esposta d’Italia hanno assegnato finalmente una protezione. L’inchiesta nissena sul “depistaggio” dell’indagine su via D’Amelio, scaturita dalle rivelazioni di Gaspare Spatuzza è entrata nella sua fase più “calda” e l’allarme attentati a Caltanissetta è improvvisamente diventato “rosso”.
Le relazioni della Diasono state redatte sulla base di tre lettere anonime, provenienti dal quartiere Brancaccio di Palermo, e scritte probabilmente dalla stessa mano, che mettono in guardia i magistrati delle procure nissena e palermitana dalla ripresa dello stragismo. Quattro i giudici nel mirino: oltre a Lari, l’aggiunto di Caltanissetta Nico Gozzo, l’aggiunto Antonio Ingroia, e il pm Gaetano Paci, gli ultimi due di Palermo.

Le prime due lettere, una indirizzata alla Dia, l’altra ai carabinieri, risalgono al mese di marzo 2009 e suonano come un “amichevole avvertimento” da parte di un anonimo, assai bene informato dei nuovi organigrammi mafiosi di Brancaccio, che manifesta aperto dissenso rispetto a una ripresa dello scontro armato con le istituzioni. Gli obiettivi indicati nella prima missiva sono Lari, Gozzo e Paci. In quel momento, il primo è il capo da poco insediatosi nell’ufficio nisseno. Il secondo è l’aggiunto arrivato da appena un mese. Il terzo, pm di Palermo, sta per trasferirsi a Caltanissetta (anche se poi il passaggio non avvenne). La seconda lettera, inviata quasi contestualmente alla prima, indica una concentrazione delle ostilità contro Lari e Ingroia, individuati come i pm titolari delle indagini sui misteri legati alle stragi e alla trattativa mafia-Stato.

La terza lettera, inviata per conoscenza anche al capo della polizia, Antonio Manganelli, risale al giugno 2009 e reitera gli stessi obiettivi. Dopo averla ricevuta, Manganelli ha preso carta e penna e ha scritto di suo pugno una nota per sottolineare come fosse “inconcepibile” che il procuratore di Caltanissetta girasse senza protezione. Dopo l’intervento del capo della polizia, il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza ha assegnato a Lari la scorta. Gozzo, invece, è protetto da una “doppia tutela”.

Le tre lettere sono giudicate dagli inquirenti “molto specifiche”. L’anonimo indica in modo circostanziato i nomi degli autori dei progetti stragisti: si tratta di un gruppo di persone di Brancaccio che, nella scorsa primavera, risultavano ancora del tutto ignote ai magistrati nisseni, ma erano già conosciute dai pm palermitani che stavano intercettando un clan emergente di presunti mafiosi, sempre legati ai fratelli Graviano, tutti operativi a Brancaccio, poi finiti in manette per estorsione.

Le inchieste di Caltanissetta, insomma, fanno paura a molti. E non solo a Cosa Nostra. In procura nessuno vuole parlare ma è convinzione diffusa che qualcuno, dall’esterno, stia “monitorando” il lavoro dei magistrati, seguendone passo per passo l’evoluzione. Nei mesi scorsi, due misteriose incursioni, dall’esterno, al sistema informatico della procura hanno mandato in “fibrillazione” gli uffici del pubblico ministero. I magistrati, che sull’episodio hanno aperto un’inchiesta, mantengono il più stretto riserbo, ma si muovono in un clima di grande circospezione. Il timore è che il muro di segretezza, che in questi mesi ha protetto le indagini su via D’Amelio, possa essere incrinato allo scopo di inquinare le nuove acquisizioni e sabotarne in qualche modo l’esito. Chi ha interesse ad ostacolare il lavoro dei pm antimafia? A Caltanissetta, Lari e Gozzo, insieme con i colleghi Amedeo Bertone, Nicolò Marino e Stefano Luciani, sono titolari delle indagini sull’eliminazione di Paolo Borsellino con una strage, secondo i pm, compiuta nella fase decisiva del passaggio tra la Prima e la Seconda Repubblica.

Dopo che Spatuzza ha sbugiardato il pro-pentito Vincenzo Scarantino, autoaccusandosi del furto dell’autobomba, i pm hanno aperto un nuovo filone di indagine per individuare cause e obiettivi del “depistaggio” che in quel periodo, tra il ‘92 e il ’94, trasformò il balordo della Guadagna nel teste-chiave di via D’Amelio, oggi considerato un impostore. Un filone che conduce dritto ai misteri dei Servizi segreti, alimentato dalle dichiarazioni di Massimo Ciancimino sulla “trattativa” (inchiesta seguita a Palermo dai pm Ingroia e Nino Di Matteo), e dalle stesse parole di Spatuzza che ha parlato di un personaggio a lui sconosciuto che avrebbe assistito alla consegna della Fiat 126 utilizzata per l’eccidio.

Fatto Quotidiano

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