VERONA - «Attraverso le Camicie verdi si costituì una vera e propria associazione a carattere militare, articolata in più compagnie dislocate territorialmente, che si prefiggeva lo scopo di conquistare l’autonomia della Padania dall’Italia». E’ soltanto uno dei passaggi-chiave dell’ordinanza-fiume con cui ieri pomeriggio il giudice per l’udienza preliminare di Verona Rita Caccamo ha sancito il rinvio a giudizio del sindaco di Treviso Gian Paolo Gobbo e di altri 35 esponenti della Lega nord. Tra loro, spiccano i nomi del deputato Matteo Bragantini, dell’ex primo cittadino di Milano Marco Formentini e del consigliere comunale di Verona Enzo Flego. Tutti dovranno rispondere del reato di costituzione di banda armata e rischiano, in caso di condanna, fino a 12 anni di reclusione.
Un’accusa, quella di «costituzione di un’associazione a carattere militare», da cui i rappresentanti del Carroccio dovranno difendersi in base a una legge, la «Scelba», datata 1952 (lo stesso dettato normativo che vietò la riorganizzazione e l’attività di partiti e gruppi neofascisti), e in relazione a una vicenda, quella correlata alle cosiddette «Guardie padane», che risale niente meno che al 1996.
E così, in barba al tanto decantato «processo breve», la prima udienza del processo di primo grado è stata fissata ieri per il primo ottobre 2010 (davanti al collegio presieduto a Verona dal giudice Marzio Bruno Guidorizzi), vale a dire a qualcosa come 14 anni esatti dai fatti contestati. Per farsi un’idea, basti solo pensare che all’epoca l’attuale onorevole Bragantini aveva appena 21 anni.
Ma tant’é: tra molteplici sospensioni per le ripetute richieste di pareri e pronunciamenti vari a Camera, Senato, Parlamento di Strasburgo (perché Gobbo a quei tempi risultava europarlamentare) e Corte Costituzionale, l’interminabile udienza preliminare chiamata a stabilire se il processo di primo grado dovesse o meno avere luogo, è giunta al suo ultimo step soltanto ieri pomeriggio.
Due sedute fa, invece, ad aver visto finalmente definita la propria posizione erano stati gli otto imputati che, all’epoca dei fatti contestati, risultavano «protetti» dall’immunità parlamentare: nomi di spicco, del calibro di Mario Borghezio, Umberto Bossi, Enrico Cavaliere, Giacomo Chiappori, Giancarlo Pagliarini, Luigino Vascon, Roberto Maroni e Roberto Calderoli, usciti di scena a fine dicembre 2009 in virtù della dichiarazione di inammissibilità, pronunciata lo scorso luglio dalla Corte Costituzionale, del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dall’allora procuratore Guido Papalia. Per gli otto, così come già avvenuto nell’aprile 2009 per i senatori Vito Gnutti e Francesco Speroni, il gup Caccamo ha quindi decretato a distanza di 13 anni e 2 mesi dai fatti contestati «il non luogo a procedere» motivandolo con la «mancanza della condizione di procedibilità».
Tutt’altro epilogo, invece, quello sancito ieri per il sindaco Gobbo (per il quale nell’ottobre 2007 la giunta per le autorizzazioni di Strasburgo revocò le immunità non ritenendo che il comportamento di cui è accusato rientri tra quelli che un deputato europeo deve tenere) e gli altri 35 militanti leghisti rimasti senza immunità di sorta e rei, ha motivato ieri il gup Caccamo tra le righe della sua lunghissima ordinanza, di aver «partecipato e organizzato un’associazione a carattere militare, articolata in compagnie territoriali, ciascuna con il programma di affermare l’autonomia della Padania». Proprio l’attuale deputato Bragantini, a parere del gup, «rappresentava il responsabile della compagnia territoriale delle Guardie padane a Verona» e «solamente dopo l’approvazione dello statuto interno, lo scopo della secessione è stato sostituito dal rifiuto della violenza». Non solo, perché le Camicie verdi «costituivano un vero e proprio apparato parallelo alle forze armate», ha rimarcato il giudice stigmatizzando anche la scelta da parte degli indagati, Maroni escluso, di avvalersi della facoltà di non rispondere.
Pienamente accolta, dunque, la ricostruzione tracciata in aula dal procuratore aggiunto Angela Barbaglio («Anche gli scout e gli alpini hanno una struttura che può assomigliare a quella militare. Perché nessuno si sogna di processarli? Perché hanno finalità del tutto pacifiche. Le Camicie verdi e le Guardie padane, invece, avevano come finalità lo scioglimento dello Stato»), mentre l’avvocato nonché deputato Matteo Bragandì, difensore della maggior parte degli imputati, ha subito bollato il processo come «politico e del tutto inutile, visto che cozzerà quasi certamente contro il macigno della prescrizione», annunciando immediatamente «una raffica di eccezioni preliminari alla prima udienza del processo». Ennesimo rinvio all’orizzonte...
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