«Allo stato nessuno può dire con sufficiente certezza a quanto ammonti la percentuale dei processi che ricadrebbero nella sanzione di estinzione ipotizzata nel disegno di legge» sul processo breve ma anche «in relazione a situazioni attualmente assai virtuose, per le quali l'attuale aspettativa di durata media della fase dibattimentale si colloca solidamente entro il termine di due anni» sono state «rappresentate serie ragioni d'allarme».
Lo ha affermato il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, in Commissione Giustizia al Senato. Una risposta al ministro Alfano che continua a considerare a rischio estinzione solo l'1% dei procedimenti se passasse il ddl così come è. Quali le ragioni d'allarme? «Innanzitutto - ha spiegato Mancino - la rilevazione dei tempi di definizione in primo grado fa ovviamente riferimento ad una media che comprende sia processi di assoluta semplicità, definiti in tempi assai ristretti, che procedimenti complessi (per la natura dei reati, il numero di imputati o di persone offese) i qual in alcun modo riescono ad essere definiti nel termine indicato e che ricadrebbero inevitabilmente nell'estinzione».
Piuttosto - ha affermato ancora Mancino guardiamo alla situazione reale della giustizia. È «drammatica la situazione esposta da
taluni uffici giudiziari», ha detto. «Difficoltà» lamentano in particolare «Napoli, Bologna, Venezia e, per certi versi, Roma».
Caustico il commento dell'avvocato senatore Li Gotti sul tema del processo breve: «Dall'audizione del ministro Alfano abbiamo scoperto un dato esaltante: già oggi l'83% processi si conclude entro due anni. Mi chiedo a cosa serva allora una norma di questo genere quando, probabilmente, sarebbero utili solo dei correttivi. È chiaro che è fatta a uso e consumo dei due processi in cui è imputato Berlusconi». Lo afferma il capogruppo dei senatori dell'Idv in commissione Giustizia, Luigi Li Gotti.
«Alfano -prosegue Li Gotti- ha anche ricordato che i processi penali pendenti di primo grado sono quasi il 10% del totale. Si tratta
di circa 38mila processi sui quali non è stato calcolato l'impatto della legge Pinto, quella che prevede indennizzi sulla ragionevole
durata del processo e sui quali, evidentemente, non è stata neanche calcolata una copertura economica».
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Lo ha affermato il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, in Commissione Giustizia al Senato. Una risposta al ministro Alfano che continua a considerare a rischio estinzione solo l'1% dei procedimenti se passasse il ddl così come è. Quali le ragioni d'allarme? «Innanzitutto - ha spiegato Mancino - la rilevazione dei tempi di definizione in primo grado fa ovviamente riferimento ad una media che comprende sia processi di assoluta semplicità, definiti in tempi assai ristretti, che procedimenti complessi (per la natura dei reati, il numero di imputati o di persone offese) i qual in alcun modo riescono ad essere definiti nel termine indicato e che ricadrebbero inevitabilmente nell'estinzione».
Piuttosto - ha affermato ancora Mancino guardiamo alla situazione reale della giustizia. È «drammatica la situazione esposta da
taluni uffici giudiziari», ha detto. «Difficoltà» lamentano in particolare «Napoli, Bologna, Venezia e, per certi versi, Roma».
Caustico il commento dell'avvocato senatore Li Gotti sul tema del processo breve: «Dall'audizione del ministro Alfano abbiamo scoperto un dato esaltante: già oggi l'83% processi si conclude entro due anni. Mi chiedo a cosa serva allora una norma di questo genere quando, probabilmente, sarebbero utili solo dei correttivi. È chiaro che è fatta a uso e consumo dei due processi in cui è imputato Berlusconi». Lo afferma il capogruppo dei senatori dell'Idv in commissione Giustizia, Luigi Li Gotti.
«Alfano -prosegue Li Gotti- ha anche ricordato che i processi penali pendenti di primo grado sono quasi il 10% del totale. Si tratta
di circa 38mila processi sui quali non è stato calcolato l'impatto della legge Pinto, quella che prevede indennizzi sulla ragionevole
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