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Giuseppe Graviano, silenzio che parla. Sibilline parole sul 41 bis

PALERMO - Chi parla tace. E chi tace parla. Sono le voci che vengono da Brancaccio. È la trama dei "Graviano & Graviano", il fratello buono e il fratello cattivo, il molle e il duro, la coppia più mafiosa di Palermo che gioca l'ultima spericolata mano intorno al senatore Marcello Dell'Utri. Dicono e non dicono, conoscono e non conoscono, ricordano e non ricordano. A volte alludono, a volte minacciano. Più con il silenzio che con le parole.

È la più sofisticata rappresentazione mafiosa andata in scena negli ultimi anni, un gioco di specchi, la dissociazione morbida di Filippo e il castigo del 41 bis che sopporta Giuseppe, il primo che parla del suo "percorso di legalità" e smentisce di avere mai incontrato il senatore, l'altro che fa l'irriducibile ma intanto fa capire che prima o poi se la potrebbe "cantare". Una mossa e l'altra mossa, l'incastro con "il fraterno amico" Gaspare Spatuzza "che ha fatto le sue scelte", un labirinto siciliano, una tela di ragno.

Forse c'è da ripassare qualcosa nel racconto fatto fino ad ora sui fratelli Graviano di via Conte Federico, la strada della morte, un budello di poche decine di metri dove - fra la primavera del 1981 e l'autunno del 1983 - in cento ne morirono "sparati". Forse c'è da vederli ancora più da vicino questi due fratelli che avevano scelto Milano per la loro latitanza, lontani da Palermo, lontanissimi da Brancaccio e dal loro esercito di sicari che li adoravano come degli dei e Giuseppe lo chiamavano Madre Natura.

Il buono e il cattivo, Filippo e Giuseppe. La mente finanziaria e la mente stragista. Quello che "è cambiato" e quell'altro che non cambierà mai. Fratelli. Fratelli di sangue e fratelli nella guerra che hanno combattuto sino alla fine al fianco di Totò Riina senza avere mai avuto uno solo dubbio (li avevano perfino quei macellai dei Ganci della Noce e Totò Cancemi di Porta Nuova, i più fedeli ai Corleonesi) o un solo rimorso.

Cominciamo dal primo, da quello che "da circa dieci anni ho messo al primo posto nella mia scala di valori il rispetto delle regole e delle istituzioni". Gli piace definirsi un danneggiato collaterale, uno che ha pagato il conto per colpa dell'altro, suo fratello. Ricostruisce in poche parole la sua storia con la giustizia: "Mi hanno arrestato nel gennaio del 1994, avrei dovuto scontare soltanto una pena di quattro mesi ma, tre giorni prima della mia scarcerazione, mi sono arrivati addosso tutti gli ordini di cattura". Tutte le stragi. Capaci. Via D'Amelio. Quelle di Firenze e di Roma e di Milano. Lui, che i pentiti l'hanno lasciato sempre quasi ai margini. Lui, che aveva solo l'ossessione degli affari.

Lui, che voleva fare solo soldi. Filippo data ancora con più precisione i giorni della sua trasformazione umana, "fra il 2002 e il 2003 quando ho inviato una lettera al procuratore Sergio Lari, perché sentivo il dovere civico di mettermi a disposizione". Parla ancora di regole e di legalità, però avverte: "Non ho mai cercato scorciatoie per ottenere chissà cosa dai magistrati". Dice che non si è voluto mai pentire. Probabilmente Filippo Graviano non si pentirà mai. Non vuole farlo e non ha interesse a farlo. Aspetta. Spera in un futuro migliore. Spera in Gaspare Spatuzza che non l'ha trascinato nelle stragi, spera in altri come Spatuzza che magari arriveranno ancora. Spera nella revisione del processo per l'uccisione di Paolo Borsellino. E, a cascata, in tutti gli altri processi. Vede una luce il danneggiato collaterale, non ha bisogno di accusare nessuno Filippo Graviano. E smentisce tutto ciò che può smentire: "Non conosco Marcello Dell'Utri. Non ho avuto contatti né diretti né indiretti con Marcello Dell'Utri". Dice ancora: "Per le mie scelte decido io: non decide né Spatuzza né mio fratello Giuseppe". Filippo Graviano oggi è un mafioso che si ritrova in una posizione di privilegio. Filippo Graviano è in attesa degli eventi, pronto a sfruttare tutto quello che "giudiziariamente" gli può venire incontro.

E' il fratello cattivo che è alle corde, seppellito da ergastoli dai quali difficilmente si potrà mai liberare. Giuseppe Graviano non parla "perché il mio stato di salute non mi consente di rispondere all'interrogatorio". Però fa sapere: "Quando potrò informerò la Corte". E' il messaggio. E' il silenzio che diffonde la minaccia e la paura. Come quell'altro messaggio che aveva voluto lanciare ai magistrati di Firenze, che lo interrogavano sulle stragi: "Io sono disposto a parlare... io sono disposto a fare confronti... se noi dobbiamo scoprire la verità io posso dare una mano d'aiuto. Io dico che uscirà fuori la verità delle cose. Trovate i veri colpevoli. Si parla sempre di colletti bianchi, colletti grigi, colletti... e sono sempre innocenti questi... ve la faccio dire io da chi sa la verità".

Giuseppe Graviano, dal carcere di Opera in videoconferenza, "si avvale della facoltà di non rispondere". Ma si racconta in tre pagine che consegna alla corte, via fax. Chiede che "il suo memoriale" venga letto in aula, il presidente del Tribunale nega l'autorizzazione. Sono tre pagine sul carcere duro, solo sul carcere duro: "... In anni 16 di detenzione ho espiato più di 10 anni di isolamento e la legge dà come tetto massimo anni 3... ancora continuo a rimanere con videosorveglianza anche di notte in camera e nel bagno... non mi consegnano nemmeno il vestiario per venire in questo processo... mio figlio di anni 12 chiede perché non ci possiamo scambiare baci e carezze... c'è un accanimento ingiustificato". Poi ricorda i disturbi alla tiroide, i mal di testa, le malattie delle pelle.

L'annuncio alla fine: "Quando il mio stato di salute me lo permetterà, sarà mio dovere rispondere a tutte le domande che mi verranno poste". E' il suo proclama contro il 41 bis. E' la sua deposizione. Quella che non ha voluto fare a voce. Giuseppe Graviano ha detto di più, molto di più di suo fratello Filippo. Sono voci che vengono da Brancaccio, Palermo.


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