Con gli occhi all’Expo2015 e le mani sui cantieri: gli affari della ‘Ndrangheta a Milano vanno a gonfie vele. Anche perché nel tessuto imprenditoriale, economico e istituzionale del capoluogo lombardo, le cosche calabresi trovano validi fiancheggiatori.
Anche all’interno dello stesso palazzo di Giustizia. È illuminante il quadro emerso ieri con la maxi operazione «Parco Sud», condotta dalla Dia milanese contro le famiglie Barbaro e Papalia, cosche arrivateda Platì, Reggio Calabria, ormai trent’anni fa per radicarsi nell’hinterland sud di Milano.
Diciassette ordinanze di custodia cautelare, cinquanta perquisizioni, sequestri per cinque milioni di euro e 48 persone indagate - tra questi imprenditori e funzionari comunali - perché ritenute, a vario titolo, affiliate ad associazioni per delinquere di stampo mafioso. Un’operazione che chiude due anni di indagini, che hanno accertato traffici di armi e droga, oltre a numerosi episodi estorsivi e intimidatori adanno degli imprenditori chenonsi piegavano ai clan. Tutto è cominciato con l’osservazione delle attività di movimento terra nel Parco Sud, una vasta area verde sulla quale diversi immobiliaristi hanno intenti speculativi.
EXPO È proprio il movimento terra - risorsa tipica della ‘ndrangheta, che controlla i subappalti nell’edilizia - a preoccupare il procuratore capo di Milano, Manlio Minale, quando fa riferimentoall’Expo 2015. Perché «il punto che favorisce l’infiltrazione mafiosa è proprio la mancanza nei contratti d’appalto della voce sul movimento terra». Un business che, assieme al settore dello smaltimento dei materiali, rappresenta la porta d’ingresso delle cosche negli appalti. Anche perché, spiega Minale, «non c’è la necessità della certificazione antimafia ». Occore quindi rivedere le norme che regolano il settore, «la cui consegna - dice il magistrato - non può essere lasciata alla direzione dei lavori sui cantieri». L’allarme è alto, anche se non sono emersi finora riferimenti diretti all’Expo. Si è fatta luce invece sull’inquinamento mafioso nei cantieri della linea ferroviaria Milano-Mortara e della Tav, «cosa loro» per la procura che ha accertato la presenza di soggetti vicini alla cosca Barbaro-Papalia, tra l’altro già emersa con un’inchiesta del luglio 2008. CONNIVENZE Con l’operazione condotta dalla Dia di Milano, dal Gico della Gdf e dai carabinieri, e coordinata dal procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini e daipmMario Venditti, Alessandra Dolci e Paolo Storari, sono finite in carcere 9 persone, tra cui un geometra, Achille Frontini, storico perito del Tribunale di Milano, che avrebbe pilotato un’asta giudiziaria per assegnare un terreno a prezzo modico alla cosca. Cinque persone sono state raggiunte dalle ordinanze in carcere emesse dal Gip Giuseppe Gennari. Tra loro il presunto boss Domenico Barbaro, 72 anni detto «L’Australiano» e i figli Salvatore e Rosario, arrestati nel 2008. Tre persone invece sono latitanti, tra queste Domenico Papalia, figlio del boss della ‘ndrangheta in Lombardia Antonio, detenuto col carcere duro. Sono indagate anche 48 persone, tra cui addetti di uffici tecnici comunali che avrebbero favorito la cosca nelle pratiche edili. Un sistema di connivenze tra ambienti istituzionali, imprenditoriali e mafiosi, che allarma. «L’imprenditoria sana - ha commentato ilpmIlda Boccassini - deve capire che bisogna stare con lo Stato, non contro. Che non può accettare le violenze delle mafie per propri tornaconti personali».
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Anche all’interno dello stesso palazzo di Giustizia. È illuminante il quadro emerso ieri con la maxi operazione «Parco Sud», condotta dalla Dia milanese contro le famiglie Barbaro e Papalia, cosche arrivateda Platì, Reggio Calabria, ormai trent’anni fa per radicarsi nell’hinterland sud di Milano.
Diciassette ordinanze di custodia cautelare, cinquanta perquisizioni, sequestri per cinque milioni di euro e 48 persone indagate - tra questi imprenditori e funzionari comunali - perché ritenute, a vario titolo, affiliate ad associazioni per delinquere di stampo mafioso. Un’operazione che chiude due anni di indagini, che hanno accertato traffici di armi e droga, oltre a numerosi episodi estorsivi e intimidatori adanno degli imprenditori chenonsi piegavano ai clan. Tutto è cominciato con l’osservazione delle attività di movimento terra nel Parco Sud, una vasta area verde sulla quale diversi immobiliaristi hanno intenti speculativi.
EXPO È proprio il movimento terra - risorsa tipica della ‘ndrangheta, che controlla i subappalti nell’edilizia - a preoccupare il procuratore capo di Milano, Manlio Minale, quando fa riferimentoall’Expo 2015. Perché «il punto che favorisce l’infiltrazione mafiosa è proprio la mancanza nei contratti d’appalto della voce sul movimento terra». Un business che, assieme al settore dello smaltimento dei materiali, rappresenta la porta d’ingresso delle cosche negli appalti. Anche perché, spiega Minale, «non c’è la necessità della certificazione antimafia ». Occore quindi rivedere le norme che regolano il settore, «la cui consegna - dice il magistrato - non può essere lasciata alla direzione dei lavori sui cantieri». L’allarme è alto, anche se non sono emersi finora riferimenti diretti all’Expo. Si è fatta luce invece sull’inquinamento mafioso nei cantieri della linea ferroviaria Milano-Mortara e della Tav, «cosa loro» per la procura che ha accertato la presenza di soggetti vicini alla cosca Barbaro-Papalia, tra l’altro già emersa con un’inchiesta del luglio 2008. CONNIVENZE Con l’operazione condotta dalla Dia di Milano, dal Gico della Gdf e dai carabinieri, e coordinata dal procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini e daipmMario Venditti, Alessandra Dolci e Paolo Storari, sono finite in carcere 9 persone, tra cui un geometra, Achille Frontini, storico perito del Tribunale di Milano, che avrebbe pilotato un’asta giudiziaria per assegnare un terreno a prezzo modico alla cosca. Cinque persone sono state raggiunte dalle ordinanze in carcere emesse dal Gip Giuseppe Gennari. Tra loro il presunto boss Domenico Barbaro, 72 anni detto «L’Australiano» e i figli Salvatore e Rosario, arrestati nel 2008. Tre persone invece sono latitanti, tra queste Domenico Papalia, figlio del boss della ‘ndrangheta in Lombardia Antonio, detenuto col carcere duro. Sono indagate anche 48 persone, tra cui addetti di uffici tecnici comunali che avrebbero favorito la cosca nelle pratiche edili. Un sistema di connivenze tra ambienti istituzionali, imprenditoriali e mafiosi, che allarma. «L’imprenditoria sana - ha commentato ilpmIlda Boccassini - deve capire che bisogna stare con lo Stato, non contro. Che non può accettare le violenze delle mafie per propri tornaconti personali».
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