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Gli svizzeri in Italia a 190 all’ora E nessuno li punisce

Gli Stati stranieri non sono obbligati a fornire le generalità

Gli svizzeri sono poi così corretti (se­greto bancario a parte)? Noi italiani sia­mo davvero ingovernabili? Gli stereoti­pi nazionali vanno presi, smontati e stu­diati. Solo allora possono rivelarsi istruttivi.
All’inizio di agosto, qui sul Corriere, avevo raccontato la sorpresa autostra­dale dell’estate 2009: auto italiane pre­occupate del Sistema Tutor, e in genere rispettose dei limiti; auto straniere ben più disinvolte, spesso oltre i limiti.

Autovelox
Il turbofanatico — quello che ti piomba alle spalle con gli abbaglianti, a 190 km/h, e chiede strada per la sua prepo­tenza — è spesso un forestiero. Di targa, almeno. Parecchi svizzeri, avevo notato. Qualche tedesco. Alcuni olandesi. Francesi, romeni, croati e resi­denti di Montecarlo. Le multe non gli arrivano? mi ero domandato. Oppure arrivano e vengono ignorate? Per saper­ne di più, ho scritto al Ministero dell’In­terno, che mi ha girato all’ufficio legale della Polizia Stradale, dalla quale è emersa questa stupefacente realtà.

Co­pio e incollo:
A) «Non esiste un meccanismo uni­forme e condiviso di notifica internazio­nale dei verbali relativi alla violazione delle regole della circolazione stradale. Fatta eccezione dei casi in cui c’è un ac­cordo bilaterale (come per l’Austria), non esiste un obbligo per lo Stato di re­sidenza dello straniero di comunicare all’Italia l’intestatario del veicolo che ha commesso la violazione. Anzi, alcuni Paesi si oppongono fermamente a que­sta operazione»;
B) «Non esiste un sistema di esecuto­rietà delle sanzioni nei confronti degli utenti che, avendo commesso violazio­ne in uno Stato estero, non abbiano provveduto al relativo pagamento. In tal modo le infrazioni stradali restano spesso impunite se commesse a bordo di un veicolo immatricolato in un altro Stato. Chi paga lo fa, sostanzialmente, per buona volontà». Buona volontà! Tanti svizzeri, eviden­temente, la perdono per strada, quando scendono in Italia. Scrive un lettore di Zurigo, Dino Nardi: «Da inizio 2008, ben 85.000 automobilisti svizzeri sono debitori di 1,4 milioni di euro per pe­daggi non pagati in Italia. La Società Au­tostrade, per incassare quei soldi, ha in­caricato una società svizzera specializza­ta nel recupero crediti».

Ho indagato. Secondo il Touring Club svizzero, si tratta di carte di credito scadute, man­canza di contante e passaggi indebiti nella corsia Telepass. Conclude amaro il signor Nardi: «Evi­dentemente gli automobilisti svizzeri (compresi noi stranieri che qui abitia­mo), in genere disciplinati e ossequiosi del codice della strada, non prendono seriamente l’Italia e le sue leggi. Confi­dano nella trasandatezza dell’applicazio­ne. Se ciò accadesse a parti invertite, al­tro che impunità: farsi individuare in Svizzera, anche dopo anni, dalle autori­tà di polizia (magari in un controllo o un pernottamento) significa pagare ca­ro, molto caro, il mancato pagamento di una multa, o altro. Provare per crede­re! ». Diciamolo, sarebbe sorprendente se i transalpini, dentro di sé, la pensassero ancora come i loro antenati del Grand Tour: l’Italia è attraente perché tutto è permesso. Ai tempi erano peccatucci sessuali, aborriti dalla morale protestan­te; oggi può essere un’Audi lanciata a 200 km/h su un’autostrada trafficata, al­la faccia delle regole, della sicurezza e delle multe.

Giacomo Leopardi — uo­mo di Recanati, ma ha potuto evitare la A14 — aveva capito tutto: «Oggidì i viaggi più curiosi e più interessanti che si possono fare in Europa, cioè nel pae­se incivilito, sono quelli de’ paesi meno inciviliti». Un sospetto, quindi: è l’ambiente che crea il comportamento. Siamo ani­mali sociali, imitiamo quelli che ci stan­no intorno. Non esiste una predisposi­zione alla sciatteria civile, anche se in Italia ci fa comodo pensarlo. Chi viag­gia, lo sa: gli italiani nel mondo rispet­tano regole che ignorano in patria (dal fisco all’ufficio, dall’università alla stra­da). Che gli svizzeri, amici e vicini, fac­ciano il contrario è culturalmente e an­tropologicamente interessante (neces­sità di una pausa civica? voglia di va­canza morale?). Ma è inaccettabile. Aiu­tiamoli a correggersi, regaliamo loro i beati giorni del castigo. Ci saranno rico­noscenti, dai Grigioni all’Appenzello.

Fonte: Beppe Servegnini - Corriere.it
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