ROMA - Un salto indietro di dieci anni. È quello che accadrà alla ricchezza degli italiani nel 2010, per effetto della crisi economica. L'allarme arriva dal Rapporto sul Terziario di Confcommercio, appena pubblicato: se non si considerano le variazioni di popolazione residente, si legge, «nel 2010 avremo un prodotto lordo pro-capite inferiore a quello del 2001: in breve, avremo perso dieci anni di crescita economica».
PREVISIONI - «Per qualificare queste congetture - spiega il rapporto di Confcommercio - è opportuno ricordare che le previsioni dei maggiori centri di ricerca nazionali e internazionali, nonchè delle istituzioni sovranazionali, collocano la dinamica del Pil italiano molto al di sotto di quella dei Paesi teoricamente più in difficoltà». In altre parole, si legge nel rapporto, «l'Italia, con le sue banche meno esposte ai titoli tossici e il suo stato sociale e solidale che non lascia indietro nessuno, con la sua struttura produttiva ancora sbilanciata sul fare dell'industria manifatturiera, con le sue famiglie poco indebitate», alla fine della crisi si posizionerà «peggio dei Paesi responsabili della finanza creativa, dei titoli tossici e della rinuncia all'economia della manifattura e dell'agricoltura per puntare tutto sui servizi. Peggio dei Paesi dei consumi a debito e di quelli delle bolle immobiliari, stile Spagna». A sostegno, Confcommercio cita i dati del rapporto di previsione di Prometeia dell'aprile scorso, secondo il quale, «fatto 100 il Pil di ciascun Paese nel 2007, nel 2010 gli Usa si collocheranno a 98,2, il Regno Unito a 95,6 e la Spagna a 98». Mentre l'Italia arriverà solo a 94,8. Per il 2009, Confcommercio prevede una flessione del Pil del 3,9%, migliore di quelle formulate da Governo e altri istituti di ricerca. Ma, avverte l'organizzazione, se la produttività dovesse tenere la media degli ultimi otto anni, «le nostre previsioni potrebbero ulteriormente peggiorare e avvicinarsi a quelle dei principali centri di ricerca». L'effetto di trascinamento sul 2010 sarà comunque «nullo, che potrebbe chiudere a +0,1% con gli ultimi due trimestri lievemente positivi».
BRUNETTA - Quella della Confcommercio è l'ultima in ordine di tempo di tante voci autorevoli che testimoniano l'aggravarsi della crisi nel nostro paese. Una tesi che però non trova d'accordo il governo. «In Italia non si percepisce crisi sociale. Checché ne dicano la Cei e Bagnasco, l'economia è una cosa, la Chiesa è un'altra» sottolinea il ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta in contrasto con le recenti affermazioni della Conferenza episcopale. «Loro possono avere una percezione di tante aree di sofferenza che magari si proiettano all'universo, va loro il mio rispetto per questa loro percezione, però non è una percezione proiettabile - ha detto ancora il ministro - in Italia non c'è crisi sociale perchè il sistema regge e tiene, perchè ci sono al momento 15 milioni di lavoratori dipendenti che tengono, il cui potere d'acquisto in questi ultimi 12 mesi o si è mantenuto o si è incrementato».Fonte: Corriere.it
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