Due euro al litro, 120 euro per un pieno di benzina, come fare la spesa in un supermercato. Nel giro di un anno i prezzi sono saliti di oltre il 25% fino al crollo di questa soglia psicologica in alcuni distributori di Toscana e Lazio, in particolare, dove da oggi per mettere un litro di verde nel serbatoio servono anche 2,008 euro a litro.
Le associazioni dei consumatori si affannano a fare i conti e parlano di quasi 800 euro in più all'anno tra costi diretti e indiretti (dovuti ad esempio al trasporto su gomma dei beni principali) di questa nuova ondata di rincari. Un vero e proprio shock per quegli automobilisti che sono costretti a fare benzina senza poter aspettare i fine settimana a prezzi ridotti di venti centesimi di euro proposti da Eni, Esso, Ip e pochissimi altri marchi.
Questi due euro al litro frantumano ogni precedente aumento dovuto a crisi o guerre internazionali. Mai così cara la verde, nemmeno quando gli sceicchi chiusero i rubinetti negli anni Settanta o durante i "dorati" anni Ottanta quando l'allora super (scomparsa dieci anni fa dai distributori) arrivò a costare 1,7 euro attualizzati.
Magari costasse così, oggi, un litro di verde o perfino il gasolio, carburanti spinti al record da un mix fatto di speculazione senza freni, di una moneta unica messa sotto pressione dal dollaro e dal carico fiscale che mette il nostro Paese sul podio delle nazioni più care al mondo. Cerchiamo allora di capire i perché di questo primato. Il primo è certamente il peso della tassazione.
Il primo aumento della storia, dovuto all'innalzamento delle accise, risale al 1935. Quando Benito Mussolini chiese agli italiani di pagare l'equivalente di un millesimo di euro in più al litro per far fronte alle pesanti spese che si stavano accumulando per la guerra di Abissinia. Venti anni più tardi toccò alla crisi di Suez, poi il disastro del Vajont, l'alluvione di Firenze, i terremoti del Belice, del Friuli, dell'Irpinia e Basilicata.
E ancora missioni militari in Libano e Bosnia mentre nel 2004 la politica iniziò ad attingere nuovamente al barile di petrolio per risolvere nodi come il contratto degli autoferrotranvieri, l'acquisto di nuovi autobus, il finanziamento alla Cultura, il Fondo unico per lo spettacolo.
Gli ultimi aumenti delle accise decise dal governo riguardano di nuovo eventi drammatici, come l'emergenza immigrati della crisi libica lo scorso anno, le alluvioni di Liguria e Toscana e il doppio colpo piazzato dal governo Monti con il decreto Salva Italia. Insomma, dal 1935 a oggi si sono succeduti circa una ventina di ritocchi definiti dai governi che li hanno applicati come "provvisori".
Ma se il gap da tasse ci allontana dai Paesi più virtuosi in fatto di prezzi, ci sono altre cause. Una va ricercata nell'estensione della rete italiana: 25mila impianti sono circa 10mila più del necessario e di quanti operano negli altri Paesi confrontabili col nostro. Il che significa margini più bassi per i gestori e costi più alti per chi distribuisce i carburanti.
Va anche detto che le compagnie non fanno molto per cancellare dalla mente degli utenti l'immagine anni Settanta delle Sette sorelle che impongono il ritmo dei rincari. I prezzi, infatti, si muovono a ondate e quando Eni, il market leader muove le pedine, tutti seguono senza cercare alternative nel giro di poche ore. Non un bell'esempio di coraggio commerciale.
Ma il Cane a sei zampe, quanto meno, sta provando nei week end a sparigliare il mercato con gli scontoni da 20 centesimi che fanno la gioia di chi ha la pazienza di mettersi in coda per fare il pieno e il dolore dei gestori che lanciano strali contro l'iniziativa. E oggi poco meno della metà dei consumi avviene proprio nei fine settimana. Infine conta molto anche la debolezza dell'euro che impone a tutta l'area della moneta unica, un maggiore stress nel cambio col dollaro.
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Le associazioni dei consumatori si affannano a fare i conti e parlano di quasi 800 euro in più all'anno tra costi diretti e indiretti (dovuti ad esempio al trasporto su gomma dei beni principali) di questa nuova ondata di rincari. Un vero e proprio shock per quegli automobilisti che sono costretti a fare benzina senza poter aspettare i fine settimana a prezzi ridotti di venti centesimi di euro proposti da Eni, Esso, Ip e pochissimi altri marchi.
Questi due euro al litro frantumano ogni precedente aumento dovuto a crisi o guerre internazionali. Mai così cara la verde, nemmeno quando gli sceicchi chiusero i rubinetti negli anni Settanta o durante i "dorati" anni Ottanta quando l'allora super (scomparsa dieci anni fa dai distributori) arrivò a costare 1,7 euro attualizzati.
Magari costasse così, oggi, un litro di verde o perfino il gasolio, carburanti spinti al record da un mix fatto di speculazione senza freni, di una moneta unica messa sotto pressione dal dollaro e dal carico fiscale che mette il nostro Paese sul podio delle nazioni più care al mondo. Cerchiamo allora di capire i perché di questo primato. Il primo è certamente il peso della tassazione.
E ancora missioni militari in Libano e Bosnia mentre nel 2004 la politica iniziò ad attingere nuovamente al barile di petrolio per risolvere nodi come il contratto degli autoferrotranvieri, l'acquisto di nuovi autobus, il finanziamento alla Cultura, il Fondo unico per lo spettacolo.
Gli ultimi aumenti delle accise decise dal governo riguardano di nuovo eventi drammatici, come l'emergenza immigrati della crisi libica lo scorso anno, le alluvioni di Liguria e Toscana e il doppio colpo piazzato dal governo Monti con il decreto Salva Italia. Insomma, dal 1935 a oggi si sono succeduti circa una ventina di ritocchi definiti dai governi che li hanno applicati come "provvisori".
Ma se il gap da tasse ci allontana dai Paesi più virtuosi in fatto di prezzi, ci sono altre cause. Una va ricercata nell'estensione della rete italiana: 25mila impianti sono circa 10mila più del necessario e di quanti operano negli altri Paesi confrontabili col nostro. Il che significa margini più bassi per i gestori e costi più alti per chi distribuisce i carburanti.
Va anche detto che le compagnie non fanno molto per cancellare dalla mente degli utenti l'immagine anni Settanta delle Sette sorelle che impongono il ritmo dei rincari. I prezzi, infatti, si muovono a ondate e quando Eni, il market leader muove le pedine, tutti seguono senza cercare alternative nel giro di poche ore. Non un bell'esempio di coraggio commerciale.
Ma il Cane a sei zampe, quanto meno, sta provando nei week end a sparigliare il mercato con gli scontoni da 20 centesimi che fanno la gioia di chi ha la pazienza di mettersi in coda per fare il pieno e il dolore dei gestori che lanciano strali contro l'iniziativa. E oggi poco meno della metà dei consumi avviene proprio nei fine settimana. Infine conta molto anche la debolezza dell'euro che impone a tutta l'area della moneta unica, un maggiore stress nel cambio col dollaro.
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