Marta Cevasco e Jurgen Schmitt sono due operai metalmeccanici. Hanno quasi la stessa età: 52 anni la signora italiana e 50 il suo collega tedesco, un’anzianità di servizio simile, entrambi tengono famiglia (coniuge e un figlio) e fanno più o meno lo stesso lavoro non specializzato. Qual è la differenza tra i due colleghi? Semplice: lo stipendio. Jurgen guadagna molto di più. A fine mese l’operaia italiana arriva a 1.436 euro, quasi la metà rispetto al metalmeccanico tedesco, che porta a casa una retribuzione 2.685 euro. A conti fatti, Marta e Jurgen sono divisi da 1. 250 euro. Chiamatelo, se volete, lo spread del lavoro. E anche qui, come succede per la finanza pubblica, vince la Germania. O meglio vince Volkswagen e perde Fiat, perché i due operai che abbiamo scelto per questo confronto sono dipendenti delle due più importanti aziende automobilistiche dei rispettivi Paesi. Jurgen passa le sue giornate alla catena di montaggio dello stabilimento di Wolfsburg. Marta invece lavora in una fabbrica del gruppo del Lingotto.
I nomi sono di fantasia, ma le buste paga, pubblicate in questa pagina, sono reali. E i numeri suonano come la conferma della superiorità del modello tedesco. Un sistema che garantisce retribuzioni più elevate. Ma non solo. Anche in Germania, ancora più che in Italia, lo stipendio è falcidiato da pesanti prelievi sotto forma di tasse, e, soprattutto, contributi previdenziali e assicurativi. In cambio, però, questa montagna di soldi contribuisce a finanziare un welfare che nonostante i tagli degli anni scorsi (a cominciare dalle riforme varate tra il 1998 e il 2004 dal cancelliere socialdemocratico Gerhard Schroeder) rimane ancora uno dei più efficienti d’Europa. Dalle nostre parti, invece, i contributi restano alti, ma il welfare si sta squagliando.
Vediamo un po’ più nel dettaglio il caso tedesco. Jurgen parte da una paga base di poco superiore a 3 mila euro e con alcune ore di straordinario notturno arriva a superare un compenso mensile lordo di 3. 700 euro. Le trattenute previdenziali e assicurative sfiorano i 700 euro, di cui 336 per la pensione e 267 euro di cassa malattia. Se si considera che l’imponibile ammonta a 3. 380 euro circa, i contributi pesano per il 20 per cento circa. Marta invece paga circa 170 euro per la pensione. Poi però ci sono circa 18 euro per il fondo previdenziale integrativo e altri 16 euro sono destinati all’assicurazione sanitaria supplementare. Alla fine questi contributi assorbono l’ 11 per cento di un imponibile pari a circa 1. 800 euro, contro il 20 per cento di Jurgen. Poi ci sono le tasse, che pesano sullo stipendio per meno del 10 per cento (9,89 per cento) nel caso dell’operaio Vw. Le ritenute fiscali della dipendente Fiat, al netto delle detrazioni, valgono invece il 13 per cento circa dell’imponibile. Morale: per Marta meno stipendio e più tasse. Peggio ancora: anche se le imposte sono maggiori, l’operaia italiana riceve servizi meno efficienti rispetto al collega di Wolfsburg.
Va detto che anche in Germania la situazione può cambiare, anche di molto, da un’azienda a un’altra. E spesso anche tra i reparti della medesima fabbrica. Alla Volkswagen di di Wolfsburg abbondano, anche se restano comunque in netta minoranza, i lavoratori part time e a tempo determinato, con retribuzioni anche del 20-30 per cento inferiori a quella dei loro colleghi (qui il reportage di Vittorio Malagutti da Wolfsburg). Jurgen e Marta però fanno parte entrambi della stessa categoria di, per così dire, privilegiati: gli assunti a tempo indeterminato. Resta il fatto che nel regno di Sergio Marchionne l’operaio se la passa molto peggio rispetto al collega delle fabbriche tedesche della Volkswagen. Il capo del Lingotto però chiede ancora di più. Chiede nuovi sacrifici e maggiore flessibilità. Solo così Fiat tornerà grande, dice.
Il gruppo di Wolfsburg si muove diversamente. Negli ultimi anni ha spostato una parte importante della produzione in aree del mondo a basso costo del lavoro (Cina, Slovacchia, Messico), ma quasi la metà dei suoi 500 mila dipendenti vivono comunque in Germania e di questi la gran parte percepisce stipendi ben più elevati rispetto a quelli della Fiat. Eppure Volkswagen, anche al netto delle partite straordinarie, vanta profitti ben più elevati del concorrente italiano. Non sarà che l’arma vincente dei tedeschi sono i prodotti, pensati e realizzati grazie a imponenti investimenti in ricerca e sviluppo? Marchionne su questo punto resta un po’ vago. In compenso, da buon liberista all’italiana, continua a chiedere all’Europa interventi straordinari, con soldi pubblici, per ridurre la sovracapacità produttiva in Europa. Da Wolfsburg rispondono: noi non ne abbiamo bisogno.
Da Il Fatto Quotidiano del 25 marzo 2012
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I nomi sono di fantasia, ma le buste paga, pubblicate in questa pagina, sono reali. E i numeri suonano come la conferma della superiorità del modello tedesco. Un sistema che garantisce retribuzioni più elevate. Ma non solo. Anche in Germania, ancora più che in Italia, lo stipendio è falcidiato da pesanti prelievi sotto forma di tasse, e, soprattutto, contributi previdenziali e assicurativi. In cambio, però, questa montagna di soldi contribuisce a finanziare un welfare che nonostante i tagli degli anni scorsi (a cominciare dalle riforme varate tra il 1998 e il 2004 dal cancelliere socialdemocratico Gerhard Schroeder) rimane ancora uno dei più efficienti d’Europa. Dalle nostre parti, invece, i contributi restano alti, ma il welfare si sta squagliando.
Vediamo un po’ più nel dettaglio il caso tedesco. Jurgen parte da una paga base di poco superiore a 3 mila euro e con alcune ore di straordinario notturno arriva a superare un compenso mensile lordo di 3. 700 euro. Le trattenute previdenziali e assicurative sfiorano i 700 euro, di cui 336 per la pensione e 267 euro di cassa malattia. Se si considera che l’imponibile ammonta a 3. 380 euro circa, i contributi pesano per il 20 per cento circa. Marta invece paga circa 170 euro per la pensione. Poi però ci sono circa 18 euro per il fondo previdenziale integrativo e altri 16 euro sono destinati all’assicurazione sanitaria supplementare. Alla fine questi contributi assorbono l’ 11 per cento di un imponibile pari a circa 1. 800 euro, contro il 20 per cento di Jurgen. Poi ci sono le tasse, che pesano sullo stipendio per meno del 10 per cento (9,89 per cento) nel caso dell’operaio Vw. Le ritenute fiscali della dipendente Fiat, al netto delle detrazioni, valgono invece il 13 per cento circa dell’imponibile. Morale: per Marta meno stipendio e più tasse. Peggio ancora: anche se le imposte sono maggiori, l’operaia italiana riceve servizi meno efficienti rispetto al collega di Wolfsburg.
Va detto che anche in Germania la situazione può cambiare, anche di molto, da un’azienda a un’altra. E spesso anche tra i reparti della medesima fabbrica. Alla Volkswagen di di Wolfsburg abbondano, anche se restano comunque in netta minoranza, i lavoratori part time e a tempo determinato, con retribuzioni anche del 20-30 per cento inferiori a quella dei loro colleghi (qui il reportage di Vittorio Malagutti da Wolfsburg). Jurgen e Marta però fanno parte entrambi della stessa categoria di, per così dire, privilegiati: gli assunti a tempo indeterminato. Resta il fatto che nel regno di Sergio Marchionne l’operaio se la passa molto peggio rispetto al collega delle fabbriche tedesche della Volkswagen. Il capo del Lingotto però chiede ancora di più. Chiede nuovi sacrifici e maggiore flessibilità. Solo così Fiat tornerà grande, dice.
Il gruppo di Wolfsburg si muove diversamente. Negli ultimi anni ha spostato una parte importante della produzione in aree del mondo a basso costo del lavoro (Cina, Slovacchia, Messico), ma quasi la metà dei suoi 500 mila dipendenti vivono comunque in Germania e di questi la gran parte percepisce stipendi ben più elevati rispetto a quelli della Fiat. Eppure Volkswagen, anche al netto delle partite straordinarie, vanta profitti ben più elevati del concorrente italiano. Non sarà che l’arma vincente dei tedeschi sono i prodotti, pensati e realizzati grazie a imponenti investimenti in ricerca e sviluppo? Marchionne su questo punto resta un po’ vago. In compenso, da buon liberista all’italiana, continua a chiedere all’Europa interventi straordinari, con soldi pubblici, per ridurre la sovracapacità produttiva in Europa. Da Wolfsburg rispondono: noi non ne abbiamo bisogno.
Da Il Fatto Quotidiano del 25 marzo 2012
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Be ma noi Italiani siamo furbi,di sottrarre hai deboli per non togliere agli altri.