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Era il sindaco antimafia. I partiti lo hanno escluso

Nel giro di diciotto mesi un sacerdote affarista uccide il socio funzionario di banca, un imprenditore dei trasporti viene freddato a colpi di pistola e per mezza giornata considerato morto d’infarto, il cadavere di una badante è rinvenuto ai bordi di una pista ciclabile a dieci giorni dalla scomparsa. Ci troviamo a Vignola, 25mila abitanti sulle colline al confine sud con Bologna, terra rossa di ciliegie e carne suina, di camion e mattoni: business di ogni sorta sulla direttrice per Milano fra appalti, finanza, mercato ortofrutticolo e carichi di droga. Qui in una manciata convivono personaggi legati a ‘ndrangheta, casalesi e stidda siciliana. Roberto Adani del Pd, sindaco fino al 2009, nella seconda parte del mandato iniziò a subire minacce, fra cui un proiettile in busta chiusa. Fu il primo a denunciare le infiltrazioni e a combattere la zona ‘grigia’, contribuendo a indagini penali e allontanando amministratori poi rinviati a giudizio. La classe dirigente non sostenne i suoi allarmi, l’allora Margherita criticò il primo cittadino dicendo che rischiava di danneggiare l’immagine del territorio. Dopo due mandati Adani non era ricandidabile alle ultime amministrative di Vignola, ma nessuno gli ha ancora trovato una collocazione né chiesto collaborazione.

Attorno alla dominazione del clan dei Casalesi sono note le presenze di cosche calabresi a Reggio Emilia e nel distretto ceramico, dove gli Arena di Isola di Capo Rizzuto (Crotone) avevano creato una rete di truffe internazionali che non esitò a far saltare in aria l’Agenzia delle Entrate di Sassuolo nel 2006. L’inchiesta di carabinieri di Modena e Dda di Bologna ha portato al rinvio a giudizio del titolare della Point One di Maranello Paolo Pelaggi, accusato di aver piazzato la bomba, dei fratelli Gentile come emissari della ‘ndrina e del commercialista svizzero Sergio Pezzatti per il giro di false fatture e società fittizie. Lo stesso vale per Reggio, dove i media hanno documentato più volte la mappatura delle cosche, ben quattro crotonesi (Grande Aracri e Dragone di Cutro alleate rispettivamente con le isolitane Nicoscia e Arena) e i Farao Marincola di Cirò Marina, presenti anche nel modenese.

Al contrario, nessuno ha raccontato la zona di Vignola, definita già dieci anni fa “crocevia del traffico di droga” dallo studioso Enzo Ciconte sulla base delle risultanze investigative. Nel 1990 l’inchiesta del pm di Bologna Libero Mancuso stroncò un’organizzazione di narcotrafficanti gestita da siciliani e residenti nel modenese come Rocco e Gaetano Fortugno di Gioia Tauro, considerati la longa manus della cosca Piromalli e oggi di nuovo sotto processo a Brescia. Tra loro anche Rocco Gioffrè, che dopo due lustri in carcere è tornato a Vignola rilevando attività legali: ortofrutta, carrozzeria, bar in centro e Locanda del Re nella vicina Marano. In città sono arrivati svariati malavitosi, chi in domicilio coatto come Vincenzo Campione di Niscemi, chi per gestire gli affari dei Casalesi come Alfonso Perrone, condannato il mese scorso a 7 anni per aver chiesto il pizzo nei ristoranti. I settori più aggrediti sono trasporti, edilizia e carni, dove non a caso i sindacati denunciano il dilagare del lavoro nero, lo sfruttamento e il mancato rispetto delle norme sulla sicurezza. Nel 2007 il titolare del prosciuttificio Alcar, Sante Levoni, fu vittima di una tentata estorsione da 1 milione e mezzo di euro. Uno degli autori, il campano Luciano Rosa Salsano, è stato condannato a 1 anno e 11 mesi.

Sullo sfondo le tradizionali truffe finanziarie: la meccanica Talmec è fra le ditte in crisi svuotate e condotte alla bancarotta dal gruppo di Giuseppe Catapano da Mondragone.

A Vignola tutto pare ovattato e rallentato. Sono serviti 18 anni per assicurare alla giustizia l’assassino di Vincenzo ‘Amsterdam’ Gumari, carbonizzato nel 1993. Il boss della Stidda di Gela Roberto Di Giacomo, narcotrafficante ex pentito che se ne stava tranquillamente a Lugano, è stato catturato in settembre grazie al suo imprudente profilo nel social network Facebook. Anche i tre delitti degli ultimi diciotto mesi, che allo stato non vengono considerati di matrice mafiosa, sono sintomatici. Venerdì è stato trovato il cadavere della badante polacca Teresa Anna Urbaniek, scomparsa da casa il 28 aprile. Il corpo, martoriato da una decina di coltellate, era nascosto fra le piante a pochi metri da una pista ciclabile in un percorso natura tra Vignola e Marano, paesino di 3mila anime immerso nelle valli appenniniche. Poche centinaia di metri più avanti, in febbraio, era stato freddato sotto casa Valter Trebbi, presidente di una media impresa che commercializza pneumatici e finanzia, tramite l’associazione ‘Amici di Padre Pini’, vari progetti di solidarietà in Sierra Leone. Nonostante i due colpi esplosi da una semiautomatica (forse senza intento omicida) conficcati nel torace e sulla portiera dell’auto, i soccorritori avevano decretato il decesso di Trebbi per infarto. Alle contestazioni degli inquirenti, hanno risposto di aver pensato a un crepacuore per lo spavento degli spari.

Secondo il procuratore di Modena Vito Zincani le indagini brancolano nel buio anche a causa di questo grave ritardo. Un altro mistero sono gli interessi finanziari che ruotano attorno al primo omicidio commesso da un sacerdote in Italia. La notte della vigilia di Natale del 2009 Don Giorgio Panini massacrò a coltellate il socio Sergio Manfredini, bancario in pensione che lo ospitava da vent’anni nella villetta di famiglia della frazione di Brodano.

In aula si accerterà se l’aggressione fosse stata premeditata (i carabinieri trovarono guanti e taniche semivuote di benzina) o legata a un raptus (tesi della difesa, retribuita dalla Curia anche per le perizie psichiatriche finalizzate al riconoscimento di una incapacità di intendere e di volere). E il tesoro accumulato da un parroco di provincia e dall’amico che richiama, mutatis mutandis, i ‘banchieri di Dio’? La guardia di finanza ha fotografato una movimentazione da un milione di euro su quaranta conti con deleghe incrociate, la gestione di cinque chiese, un asilo privato e un banco Caritas, un albergo a Fanano, due case vacanze ad Aprica di Valtellina e a Vieste. C’è stato un frettoloso patteggiamento in udienza preliminare per il reato di truffa, legato ai contributi scuciti dal prete ai Comuni per finte ristrutturazioni delle parrocchie. Ora nel filone principale si discuterà del movente dell’omicidio, considerato legato all’attualità della decisione di Don Panini di rompere coi Manfredini per andare a vivere con la presunta fidanzata. Ma nebbia fitta sull’origine di quelle fortune.

“Immaginate se ci fosse ancora il sindaco Adani, convinto com’è di combattere mafie e corruttele con la polizia municipale”, dicono i detrattori predicando l’integrazione con gli ambienti paramafiosi (visibili anche su Facebook) in nome dei consensi elettorali. Lui, di questo “ragionamento sbagliato e immorale, perché la maggioranza dei meridionali emigra proprio per liberarsi da quel giogo”, oggi non ha voglia di parlare. Lo ‘sceriffo’ rosso dal piglio deciso come la stretta di mano e dalla risata verace che ricorda il personaggio di Zelig Palmiro Cangini, ha lasciato la guerra ad un nemico invisibile: non sa ancora chi è l’autore di quelle minacce che cinque anni fa hanno cambiato la vita della sua famiglia, moglie e bimbi piccoli.

Saper leggere la società, andando oltre la mera amministrazione, dà fastidio. Adani monitorava la mappatura della zona grigia che voleva mettere le mani sugli appalti, evitava di frequentare certi locali, rifiutando inviti come quello di Rocco Gioffrè all’inaugurazione del suo bar del centro. Si sconcertava vedendo imprenditori rovinati dalla coca e dalle escort finire nel vortice dell’usura, instrumentum regni delle cosche. Nell’ottobre 2006 cacciò dalla Giunta l’assessore Antonio Francesco Orlando, odontoiatra reggino entrato in quota comunista. Alle amministrative del 2009 il medico, già al centro di polemiche per una presunta vicinanza agli ambienti massonici bolognesi (da lui sempre smentita), si è candidato in una lista civica di centrodestra venendo sconfitto dal nuovo candidato del Pd Daria Denti.

A urne ancora calde Orlando è stato arrestato dai carabinieri per tentata estorsione ai danni di un’agenzia di pratiche auto: secondo l’accusa avrebbe preteso il pagamento di perizie in nero assieme a due loschi figuri, un romeno e un calabrese mai identificato. Adani era riuscito ad allontanare anche l’allora comandante della municipale Ulisse Ruggeri e il geometra Enrico Tagliazucchi, quest’ultimo rinviato a giudizio per abuso edilizio assieme alla ditta di trasporti Galassini, l’ex dirigente dello sportello unico per le attività produttive Antonio Lateana e l’ex consigliere del Pd Moreno Dal Rio. Le contestazioni riguardano allargamenti di superfici anche del Centro Alesatura, azienda di cui è legale rappresentante Dal Rio.

A casa Adani il 13 settembre 2006 arrivò un proiettile in busta chiusa, l’inizio di una serie di minacce. Ma al di là dell’immediata solidarietà, sospira oggi, “sono stato lasciato solo dalla politica”. L’attuale sindaco Denti, per due volte assessore nella sua giunta, una volta insediato ha rifiutato la collaborazione. La classe dirigente che assicura agli amministratori carriere e scambi di seggiole alla scadenza dei due mandati, non ha trovato posto per Roberto Adani. E la politica di destra e di sinistra, pur con varie sfumature, non ha sostenuto adeguatamente le sue denunce di infiltrazioni mafiose nel tessuto economico. Nel 2007 l’allora Margherita del presidente della Provincia Emilio Sabattini attaccò Adani dicendo che rischiava di danneggiare l’immagine del territorio. Eppure si tratta degli stessi rappresentanti delle istituzioni che oggi appoggiano il sindaco di Bomporto Alberto Borghi contro l’obbligo di dimora dell’ex detenuto Egidio Coppola. E manifestano per Don Paolo Boschini, il prete modenese minacciato dalla camorra per aver ospitato la mostra di Davide Cerullo su Scampia. Cos’è cambiato?


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Fonte: Il FQ

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