Il primo annuncio risale al dicembre scorso, giusto pochi giorni prima di Natale. Maurizio Belpietro e Vittorio Feltri diventano editori, annunciarono i diretti interessati con tanto di conferenza stampa. I gemelli del gol del giornalismo di destra tornano a lavorare insieme e si comprano il 20 per cento dell’Editoriale Libero, che pubblica l’omonimo quotidiano. I dettagli dell’operazione rimasero però nel vago, a cominciare dal prezzo d’acquisto delle quote, il 10 per cento ciascuno, rilevate dai due giornalisti.
C’è voluto qualche mese, ma alla fine il contratto è stato depositato. E così si scopre che Belpietro e Feltri se la sono cavata davvero con poco. Per diventare azionisti di Libero hanno sborsato ciascuno 11 mila euro. Poca cosa davvero, almeno a prima vista. Solo 22 mila euro in tutto per assicurarsi il 20 per cento di un giornale che dichiara una diffusione di oltre 100 mila copie e vanta un giro d’affari superiore a 40 milioni di euro. Possibile?
Nel contratto siglato il 28 febbraio scorso e da pochi giorni disponibile nelle banche dati della Camera di commercio compare nel ruolo di venditore la Fondazione San Raffaele, che resta proprietaria dell’80 per cento. A conti fatti, quindi, l’intera società editoriale dovrebbe valere non più di 220 mila euro e le azioni sono passate di mano al valore nominale. Nessuna transazione milionaria, quindi. Libero vale quanto un bilocale nel centro di una grande città e i due direttori-editori si sono ricavati giusto un paio di stanzette gentilmente messe a disposizione dal padrone di casa. Già, ma chi è il proprietario di Libero?
A libro soci, come detto, compare come azionista di controllo la Fondazione San Raffaele. Quest’ultima sarebbe un ente senza scopo di lucro “impegnata – si legge nei documenti ufficiali – nella ricerca e gestione sanitaria nonché nella diffusione della cultura e dell’informazione”. L’Editoriale Libero, controllata dalla Fondazione San Raffaele, si limita a pubblicare il giornale. La testata, cioè in sostanza il marchio del gruppo, è invece di proprietà della Finanziaria Tosinvest, di proprietà della famiglia Angelucci, che lo cede in affitto all’editore.
Questo schema complicato non nasce per caso. Secondo l’Autorità garante delle comunicazioni (Agcom) la complessa struttura proprietaria è stata ideata apposta per consentire agli Angelucci di incassare, senza averne diritto, milioni di contributi pubblici per i loro giornali. Una lunga indagine dell’Agcom, conclusa a febbraio, è arrivata alla conclusione che il giornale diretto da Belpietro con Feltri direttore editoriale è controllato in realtà da Antonio Angelucci, l’imprenditore della sanità laziale, nonché deputato del Pdl, a cui fa riferimento anche il Riformista.
L’Autorità di controllo ha quindi condannato Angelucci a pagare una sanzione di 103 mila euro perché servendosi di vari schermi societari ha cercato di nascondere il suo ruolo di editore di entrambi i giornali. In questo modo sia Libero sia il Riformista negli anni scorsi hanno potuto accedere ai finanziamenti pubblici per l’editoria, che invece, in base alla legge, non possono andare a due testate collegate tra loro. Risultato: quei soldi incassati senza averne diritto dovranno essere restituiti. In particolare, Libero dovrà rinunciare a 12 milioni di contributi messi bilancio nel 2009 come crediti per contributi e ad almeno altri 6 milioni per il 2010.
Particolare importante: senza quei contributi i conti di Libero sono destinati a sprofondare travolti dalle perdite. Nonostante i generosi aiuti di Stato, nel 2008 così come nel 2009 il bilancio si è chiuso praticamente in pareggio, con profitti di poche migliaia di euro. Non si conoscono ancora i dati del 2010, ma è difficile che la situazione sia cambiata di molto.
Il ritorno di Feltri, fondatore e a lungo direttore di Libero prima di andarsene al Giornale, è stato interpretato come una sorta di ultima spiaggia per salvare una testata in declino. Adesso però, se davvero si chiude il paracadute dei soldi pubblici, il quotidiano berlusconiano rischia davvero il crac. A meno che gli Angelucci non si decidano a mettere mano al portafoglio per chiudere le falle del conto economico.
A questo punto, bilanci alla mano, forse è più facile spiegare il modico prezzo pagato dalla nuova coppia di vertice per comprarsi una fetta della società editrice. L’Editoriale Libero è una fabbrica di perdite, coperte fin qui solo grazie ai contributi pubblici. E allora quei 22 mila euro versati dalla coppia Belpietro-Feltri sono una sorta di scommessa sul futuro del giornale. Se il verdetto dell’Agcom fosse in qualche modo riformato allora nessun problema. Se invece la sentenza dovesse diventare esecutiva, la società sarà costretta a batter cassa per molti milioni di euro. A quel punto i due giornalisti editori dovranno decidere se fare la loro parte sborsando, questa volta, qualche milione, oppure sfilarsi dall’impresa.
da il Fatto quotidiano del 10 maggio 2011
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C’è voluto qualche mese, ma alla fine il contratto è stato depositato. E così si scopre che Belpietro e Feltri se la sono cavata davvero con poco. Per diventare azionisti di Libero hanno sborsato ciascuno 11 mila euro. Poca cosa davvero, almeno a prima vista. Solo 22 mila euro in tutto per assicurarsi il 20 per cento di un giornale che dichiara una diffusione di oltre 100 mila copie e vanta un giro d’affari superiore a 40 milioni di euro. Possibile?
Nel contratto siglato il 28 febbraio scorso e da pochi giorni disponibile nelle banche dati della Camera di commercio compare nel ruolo di venditore la Fondazione San Raffaele, che resta proprietaria dell’80 per cento. A conti fatti, quindi, l’intera società editoriale dovrebbe valere non più di 220 mila euro e le azioni sono passate di mano al valore nominale. Nessuna transazione milionaria, quindi. Libero vale quanto un bilocale nel centro di una grande città e i due direttori-editori si sono ricavati giusto un paio di stanzette gentilmente messe a disposizione dal padrone di casa. Già, ma chi è il proprietario di Libero?
A libro soci, come detto, compare come azionista di controllo la Fondazione San Raffaele. Quest’ultima sarebbe un ente senza scopo di lucro “impegnata – si legge nei documenti ufficiali – nella ricerca e gestione sanitaria nonché nella diffusione della cultura e dell’informazione”. L’Editoriale Libero, controllata dalla Fondazione San Raffaele, si limita a pubblicare il giornale. La testata, cioè in sostanza il marchio del gruppo, è invece di proprietà della Finanziaria Tosinvest, di proprietà della famiglia Angelucci, che lo cede in affitto all’editore.
Questo schema complicato non nasce per caso. Secondo l’Autorità garante delle comunicazioni (Agcom) la complessa struttura proprietaria è stata ideata apposta per consentire agli Angelucci di incassare, senza averne diritto, milioni di contributi pubblici per i loro giornali. Una lunga indagine dell’Agcom, conclusa a febbraio, è arrivata alla conclusione che il giornale diretto da Belpietro con Feltri direttore editoriale è controllato in realtà da Antonio Angelucci, l’imprenditore della sanità laziale, nonché deputato del Pdl, a cui fa riferimento anche il Riformista.
L’Autorità di controllo ha quindi condannato Angelucci a pagare una sanzione di 103 mila euro perché servendosi di vari schermi societari ha cercato di nascondere il suo ruolo di editore di entrambi i giornali. In questo modo sia Libero sia il Riformista negli anni scorsi hanno potuto accedere ai finanziamenti pubblici per l’editoria, che invece, in base alla legge, non possono andare a due testate collegate tra loro. Risultato: quei soldi incassati senza averne diritto dovranno essere restituiti. In particolare, Libero dovrà rinunciare a 12 milioni di contributi messi bilancio nel 2009 come crediti per contributi e ad almeno altri 6 milioni per il 2010.
Particolare importante: senza quei contributi i conti di Libero sono destinati a sprofondare travolti dalle perdite. Nonostante i generosi aiuti di Stato, nel 2008 così come nel 2009 il bilancio si è chiuso praticamente in pareggio, con profitti di poche migliaia di euro. Non si conoscono ancora i dati del 2010, ma è difficile che la situazione sia cambiata di molto.
Il ritorno di Feltri, fondatore e a lungo direttore di Libero prima di andarsene al Giornale, è stato interpretato come una sorta di ultima spiaggia per salvare una testata in declino. Adesso però, se davvero si chiude il paracadute dei soldi pubblici, il quotidiano berlusconiano rischia davvero il crac. A meno che gli Angelucci non si decidano a mettere mano al portafoglio per chiudere le falle del conto economico.
A questo punto, bilanci alla mano, forse è più facile spiegare il modico prezzo pagato dalla nuova coppia di vertice per comprarsi una fetta della società editrice. L’Editoriale Libero è una fabbrica di perdite, coperte fin qui solo grazie ai contributi pubblici. E allora quei 22 mila euro versati dalla coppia Belpietro-Feltri sono una sorta di scommessa sul futuro del giornale. Se il verdetto dell’Agcom fosse in qualche modo riformato allora nessun problema. Se invece la sentenza dovesse diventare esecutiva, la società sarà costretta a batter cassa per molti milioni di euro. A quel punto i due giornalisti editori dovranno decidere se fare la loro parte sborsando, questa volta, qualche milione, oppure sfilarsi dall’impresa.
da il Fatto quotidiano del 10 maggio 2011
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