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Al Corriere volano gli stracci Della Valle contro i banchieri


L’ha rifatto. Per la quarta volta in una settimana l’imprenditore Diego Della Valle, quello delle scarpe Tod’s e della Fiorentina, è partito lancia in resta contro i banchieri più potenti d’Italia. Contro Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa, e contro Cesare Geronzi, passato un anno fa dallo scranno più alto di Mediobanca a quello delle Generali. Due “arzilli vecchietti”, li ha definiti Della Valle. Gente che non investe del suo, ma pretende di comandare con i soldi degli altri. Chiaro no? Non abbastanza, almeno per Della Valle, che ha pensato bene di ribadire il concetto con una fluviale intervista a Repubblica, pubblicata ieri. La posta in palio si chiama Corriere della Sera, formidabile centro di potere governato da un affollato patto di sindacato (13 grandi soci) a cui partecipa tra gli altri Della Valle, azionista del gruppo Rcs con una quota del 5,4 per cento e i suoi due rivali Bazoli e Geronzi. Tra gli azionisti di comando troviamo Mediobanca, Fiat, Pesenti, Ligresti, Tronchetti Provera. Insomma, gli esponenti principali di quello che un tempo veniva definito il salotto buono del capitalismo nazionale.

L’imprenditore marchigiano dice di voler impedire che “come è successo in passato” le decisioni sul Corriere vengano prese “bypassando il consiglio di amministrazione”. In pratica accusa i due “arzilli vecchietti” (parole sue) di tirare i fili del giornale più importante d’Italia senza passare dai luoghi deputati per legge a prendere le decisioni. Già che c’era Della Valle se l’è presa (senza nominarlo) con il sito di Dagospia di Roberto D’Agostino, colpevole (dice lui) di averlo maltrattato negli ultimi tempi. E lascia capire che gli attacchi di Dagospia sarebbero partiti da non meglio precisati uffici stampa “arroganti e poco professionali”. Parole pesanti, a maggior ragione in un ambiente dove il dibattito tra soci è di solito affidato a dichiarazioni in codice.

A questo punto, però, negli ambienti finanziari la domanda è una sola: perché il patron delle Tod’s si sveglia proprio adesso? È entrato in Rcs come socio importante nel 2003 e dal 2004 fa parte del patto e del consiglio di amministrazione. E in tutti questi anni il gruppo ha sempre mantenuto un assetto di governo che non ha eguali in Italia, ma forse neppure nel mondo, con tre organi decisionali (patto, cda di Rcs, cda del Corriere) dove sono rappresentati gli azionisti forti. Con una struttura tanto bizantina è francamente difficile capire dove si formano davvero le decisioni. Della Valle, però, se la prende con Bazoli e Geronzi. Non solo, nell’intervista a Repubblica lascia partire anche quella che sembra una frecciata al direttore del Corriere, Ferruccio de Bortoli, che avrebbe pubblicato “articoli qualche volta fuori misura per dimostrare che si è indipendenti dalla proprietà”. Il riferimento è ad alcuni pezzi su Fiat (azionista influente di Rcs) non allineati sulle posizioni di Sergio Marchionne.

A dire il vero, però, mister Tod’s sembra anche scontento della gestione aziendale, affidata all’amministratore delegato Antonello Perricone. Ne parla con toni più felpati di quelli riservati ai banchieri, ma dice che il piano industriale (su cui si è astenuto un mese fa) dovrà essere “verificato nella tempistica”. In realtà nel mondo finanziario non è un mistero che l’imprenditore vorrebbe interventi molto più incisivi per risanare un gruppo editoriale che quest’anno rivedrà il profitto (poca cosa) dopo le perdite di 130 milioni del 2009, ma è ancora gravato da debiti per quasi un miliardo di euro. Sul riassetto industriale, che prevede una riduzione di benefit e protezioni per i giornalisti, la proposta di mediazione del direttore non è stata votata dalla redazione. E il timore di Della Valle è che si arrivi a un accordo al ribasso, con la mediazione dei poteri forti Bazoli e Geronzi.

Si spiegherebbe anche così la sua scelta di alzare la voce, di rovesciare il tavolo nel tentativo di forzare le scelte in consiglio. Forse anche perché teme che se il risanamento andrà per le lunghe i titoli perdano ancora terreno in Borsa o, peggio ancora, i soci siano chiamati a mettere mano al portafoglio per un aumento di capitale. E a quel punto i banchieri impiegherebbero il denaro delle istituzioni che rappresentano, mentre Della Valle, pagherebbe di tasca propria. Fin qui il Corriere non si è rivelato un grande affare per lui. Nel 2006 i titoli Rcs erano in portafoglio alla sua holding di famiglia per 143 milioni. Nel 2009 il valore era diminuito di due terzi. Una perdita secca di quasi 100 milioni. E potrebbe non essere ancora finita.

da Il Fatto quotidiano del 30 gennaio 2011


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