Ieri Piero Ostellino ha protestato col nostro direttore e, dobbiamo ammetterlo, non aveva tutti i torti: avevamo scritto che, “a leggere con attenzione tra le firme del Corriere, da un mese è apparsa quella di Giuseppe Bedeschi, liberale doc di destra, secondo molti assunto proprio per ridimensionare Ostellino acriticamente schierato a favore del premier”. Giustamente risentito, Ostellino ha tenuto a precisare: “Ma se Bedeschi l’ho fatto assumere io! E pure Giorgio Fedel!”. In attesa della cortese smentita di quel galantuomo di Ferruccio de Bortoli, al quale non farà far piacere di passare per un direttore commissariato da un Ostellino qualunque, ragguagliamo i nostri sfortunati lettori che non hanno mai assaporato la prosa di Bedeschi, Fedel e Ostellino.
Fedel, il 7 gennaio, ha svelato in una bombastica articolessa di mille parole il vero problema dell’Italia: la “fortissima corrente di denigrazione e di aperta ostilità che investe Silvio Berlusconi da più di un quindicennio”. Cioè una sinistra che mal sopporta la visione “liberal-democratica” di B. e così, accecata dall’“avversione”, dall’“animosità” e dall’“odio”, lo “delegittima”, lo chiama “caimano” e addirittura “corruttore” (quando si dice la fantasia). Bedeschi s’è prodotto l’altroieri in un’altra colata di piombo in difesa di B.. Prima gli ha suggerito di fare come Andreotti, “che si difese in tribunale da accuse infamanti dalle quali fu assolto” (falso, fu dichiarato colpevole di mafia fino al 1980, reato “commesso” ma prescritto). Poi, a riprova di come “la magistratura perde il senso della misura quando si tratta di B.”, ha ricordato che “nel ’94 fu recapitato al presidente del Consiglio, impegnato a Napoli in una conferenza di capi di Stato e di governo, un avviso di garanzia… Non si poteva attendere qualche giorno per recapitarglielo? Berlusconi fu poi prosciolto dalle accuse”. In realtà a Napoli non c’era nessun capo di Stato o di governo, ma una conferenza internazionale sulla criminalità. La Procura attese parecchi giorni, lasciò passare le elezioni amministrative e solo dopo gli notificò l’invito a comparire (non l’avviso di garanzia) per corruzione della Guardia di Finanza. Le tangenti Fininvest alle Fiamme gialle furono poi provate, con la condanna definitiva dal pagatore Sciascia e del favoreggiatore Berruti. B. fu condannato in primo grado, prescritto in appello e assolto dalla Cassazione per insufficienza di prove perché – s’è poi scoperto - il testimone chiave che avrebbe dovuto fornirle mentì in tribunale e fu ricompensato da B. con una tangente di 600 mila dollari (si chiamava Mills). Gran finale di Bedeschi: “Rimane il sospetto che la magistratura abbia avuto due pesi e due misure” tra B. e la sinistra. La prova? “Dopo la tragedia dell’immondizia a Napoli, che io sappia, non fu aperta nessuna indagine sul presidente Bassolino. E, se indagini furono avviate, furono rapidamente chiuse… L’uomo della strada si domanda se non ci sia qualcosa che non funziona nella nostra giustizia”. Balla sesquipedale: Bassolino fu indagato quattro anni fa a Napoli per truffa alla sua Regione, insieme all’Impregilo che avrebbe dovuto smaltire la monnezza, e ha subìto due rinvii a giudizio, tant’è che è imputato al Tribunale di Napoli. Se l’uomo della strada si fa certe domande è perché chi dovrebbe informarlo falsifica i fatti, anzi scrive “che io sappia” e non sa una mazza. Dunque ancora tante scuse a Ostellino. Fra lui e i suoi discepoli Fedel e Bedeschi non c’è differenza: dicono tutti e tre un mare di corbellerie, anche se i due fedelissimi, almeno, le scrivono in italiano. Lui invece si esprime in un idioma non indoeuropeo, infarcito per giunta di espressioni in dolce stilnovo da fureria che mandano in visibilio le giornaliste e le lettrici del Corriere: notevole il suo reiterato elogio delle escort di B., donne “che ‘condividono’ la fortuna sulla quale sono sedute”, quindi non “puttane”, ma missionarie. E lui se ne intende, essendo seduto sul suo quotidiano strumento di lavoro.
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