Siccome gli amici si vedono nel momento del bisogno, appena le rivelazioni di Wikileaks hanno messo in imbarazzo B. si attendeva ad horas il soccorso rosso, anzi rosè, dell’inseparabile D’Alema, che tanto ha dato negli anni alla causa berlusconiana (i 20 milioni in nero presi da un imprenditore malavitoso, il pellegrinaggio a Mediaset “grande risorsa del Paese”, la Bicamerale, il ribaltone anti-Prodi, la “merchant bank” di Telecom, le bombe sulla Serbia, il “facci sognare” a Consorte che scalava Bnl, la Bicamerale a luci rosse di Giampi Tarantini). E infatti puntualmente è arrivato: alla vigilia di Natale, Wikileaks ha diffuso il cablo del 2008 con cui l’ex ambasciatore americano Spogli riferiva a Washington quel che gli aveva confidato Max nel luglio 2007: “La magistratura è la più seria minaccia per lo Stato italiano”. Il tutto mentre B. ripeteva che la magistratura è la più seria minaccia per lo Stato italiano. D’Alema ha risposto che l’ambasciatore l’ha “frainteso”, il che accade regolarmente anche a B. Per carità, può darsi che quel giorno del luglio 2008 D’Alema non abbia detto che la magistratura è una minaccia per lo Stato e che Spogli abbia frainteso anche lui (Max, come quasi tutti i ministri degli Esteri italiani, non parla inglese). Ma sarebbe molto strano, perché D’Alema ha sempre detto pubblicamente e privatamente che la magistratura è una minaccia per l’Italia. Quando indaga sui politici, s’intende. E non perché sia diventato comunista, ma perché è sempre stato comunista. E i comunisti non conoscono la divisione dei poteri: per loro esiste un solo potere, quello politico, anzi partitico. Ciò che va bene al partito va bene al Paese. Se la magistratura si fa gli affari suoi, ok. Ma se indaga sui politici, non va più bene. Nel 1993, in piena Tangentopoli, D’Alema definiva il pool Mani Pulite “il soviet di Milano”. Nel 1996, a cena con Flores d’Arcais (che lo raccontò al Corriere nel 2000), gli confidò che “tutta Mani pulite è stata fin dall’inizio un complotto contro il Pds. Borrelli, D’Ambrosio e Colombo si sono fatti subornare, strumentalizzare da quei reazionari di Davigo e Di Pietro”. Poi, in perfetta coerenza, da presidente della Bicamerale approvò la bozza Boato che pareva copiata dal Piano della P2: separazione le priorità delle Procure. Nel giugno 2007, quando la Procura di Milano e il gip Forleo trasmisero alla Camera – per chiedere l’autorizzazione a usarle – le intercettazioni di Consorte che parlava con lui, Fassino e Latorre della scalata illegale di Unipol a Bnl, D’Alema illustrò in varie interviste il suo pensiero. Breve antologia: “Che monnezza, che imbarbarimento... È uno schifo, la magistratura s’è comportata in modo inaccettabile. Forse l’abbiamo difesa troppo. Ma ora dobbiamo reagire... è una violazione della legge perpetrata dagli stessi magistrati... io non vedo alcuna ragione di giustizia, dev’esserci dell’altro sotto... il metodo delle intercettazioni è distorsivo per sua natura... apre lo spazio a ogni forma di giustizialismo e di barbarie... facciamo conferenze sulla giustizia in Afghanistan, ma dovremmo occuparci del nostro sistema... questa gogna mediatica finisce per destabilizzare la politica... si vuole indebolire il sistema politico... scandalismo, uso illegittimo di materiali riservati, indagini illegali... siamo fuori dallo Stato di diritto... la Forleo fa saltare per aria il sistema democratico...”. Poi, grazie anche al soccorso azzurro, la Camera passò la patata bollente al Parlamento europeo che, destra e sinistra insieme, proibì ai giudici l’uso delle telefonate. Intanto il Csm silurava la Forleo. Ora, può darsi che D’Alema abbia detto a Spogli che era grato ai magistrati per le indagini su Unipol. Purtroppo però in pubblico disse il contrario. E si sa come son fatti quei sempliciotti degli americani: quando uno dice una cosa, pensano che l’abbia detta. Tanto il problema non è loro. D’Alema è tutto nostro.
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Fonte: Il Fatto Quotidiano del 28 dicembre, in edicola
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