Tutta colpa di Belén Rodriguez. L’ammirevole fidanzata di Fabrizio Corona, protagonista dei martellanti spot pubblicitari di Tim, di tutto fa venir voglia fuorché di telefonare. Problema non da poco per un’azienda come Telecom Italia, che investe ogni anno centinaia di milioni di euro in pubblicità. Soprattutto nel mercato dei telefonini, uno spot azzeccato vale tanto oro quanto pesa, per la semplice ragione che i servizi di Tim, Vodafone, Wind e 3, percepiti dal mercato di massa come equivalenti, se la giocano molto sulla capacità di attrarre emotivamente il cliente.
E così Fabrizio Bona, responsabile del mercato consumer (comuni mortali) di Telecom, profeta degli ammiccamenti sessuali di Belén, è stato messo alla porta dal numero uno Franco Bernabè che lo aveva fortissimamente voluto solo un anno fa. Mossa coraggiosa quella del manager di Vipiteno, che di fronte al disastro dei risultati Tim ha avuto il coraggio (raro tra i manager di casa nostra) di tornare risolutamente su suoi passi. Mentre in Borsa l’annuncio dei risultati al 30 settembre ha fatto perdere a Telecom Italia il 6 per cento in due giorni.
Nei primi nove mesi del 2010 la cura Bona ha fatto perdere a Tim il 10 per cento dei ricavi. Sono entrati nelle casse sociali solo 5,8 miliardi di euro, 674 milioni meno del 2009. E anche nel 2009 il fatturato aveva accusato una flessione del 10 per cento.
Per essere il settore all’avanguardia delle telefonia c’è di che restare sconfortati. È vero che il mercato è difficile per tutti, il mercato è saturo (con oltre 90 milioni si sim nelle tasche di 60 milioni di italiani) e la stessa Vodafone, che ha ormai affiancato Tim nella leadership nazionale, sta per annunciare risultati con una leggera perdita di ricavi. Alle spalle dei due giganti, che hanno 30 milioni di abbonati a testa, inseguono Wind con 20 milioni di sim e 3 lanciata verso i 12 milioni.
Ma per Tim la situazione sta diventando imbarazzante. Chi ha un po’ di memoria storica fa risalire i guai al 2005, quando la gestione Tronchetti Provera decise – per ragioni schiettamente finanziarie – la fusione di Tim dentro Telecom Italia. Ne seguì la guerra tra il capo della telefonia fissa Riccardo Ruggiero e quello di Tim, Marco De Benedetti, vinta dal primo. Conseguenza: azzeramento sostanziale di tutto il management del mobile, quello cioè più abituato a un mercato di concorrenza vera, dove l’amicizia di clienti e rete commerciale conta e te la devi conquistare.
Sono stati anni agitati per Tim. Bernabè ha fatto saltare prima Luca Luciani, passato alla storia per aver fatto vincere Napoleone a Waterloo (ma adesso sta vincendo lui con i risultati di Tim Brasile), poi Carlos Lambarri, adesso Bona. Tutto in un paio d’anni. Bona, palermitano accreditato di solide amicizie negli ambienti del Guardasigilli Angelino Alfano, nato in Tim e poi cresciuto con ottimi risultati in Vodafone prima e Wind poi, stavolta ha messo d’accordo tutti. I colleghi che non ne sopportano i modi spicci e accentratori. I venditori dei centri Tim, infuriati per i suoi tentativi di far pagare a loro il prezzo della crisi. I ragazzi dei call center, che talvolta sfogano sui malcapitati clienti del 119 la loro frustrazione. E infine Bernabè, che si vanta di aver fatto fuori 300 dirigenti quando esordì alla guida dell’Eni. E anche a Telecom non scherza.
Fonte: Il FQ
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