l regista scomparso a 95 anni ci lascia in eredità un lungo elenco di film indimenticabili, con cui ha regalato ruoli da antologia ai migliori attori di casa nostra. Da "la grande guerra" ad "Amici miei". E negli ultimi mesi la battaglia a fianco degli studenti e contro i tagli alla cultura
ROMA - Spesso nel corso degli anni, riferendo della scomparsa di questo o di quel veterano del nostro cinema, i giornali hanno utilizzato espressioni del genere "addio all'ultimo dei grandi". Ma mai come nel caso della scomparsa di Mario Monicelli questo modo di dire si sgancia dal luogo comune, diventando verità assoluta: perché questo immenso autore italiano che questa sera ha deciso di porre fine alla sua lunga vita, gettandosi dal quinto piano dell'ospedale San Giovanni della capitale, è davvero un personaggio unico, di enorme statura, nel panorama della settima arte. Padre fondatore ed esponente più autentico - cinico, disincantato, eppure carico di passione civile - di quella nobile tradizione nostrana che va sotto il nome di commedia all'italiana.
Un genere che al suo genio, al suo talento, deve tantissimo. Come dimostra l'elenco dei suoi film più noti (in tutto ne ha girati quasi settanta): da La grande guerra ai Soliti ignoti, da Amici miei a Guardie e ladri, da L'armata Brancaleone a La ragazza con la pistola. Così come a lui devono tantissimo i migliori attori italiani del Novecento, a cui ha regalato pellicole e ruoli indimenticabili: da Vittorio Gassman a Totò, da Marcello Mastroianni ad Alberto Sordi, passando per Monica Vitti.
Toscanaccio di origine e di temperamento, Monicelli nasce a Viareggio il 15 maggio del 1915. Figlio di Tommaso, critico teatrale, e giornalista Tommaso, dopo la laurea in storia e filosofia a Pisa, Mario esordisce nel cinema nel 1932 con il
corto, firmato insieme ad Alberto Mondadori, Cuore rivelatore. Emigrato nella Roma fascita, il regista si ambienta subito, nella capitale dell'Italia mussoliniana. Ma è nel dopoguerra che, insieme ad autori come Dino Risi, Luigi Comencini e Steno, inventa il filone aureo della commedia all'italiana. Raccogliendo grandissimi successi di pubblico, ma anche riconoscimenti ufficiali: ad esempio il suo Guardie e ladri ottiene due premi a Cannes nel '51, mentre I soliti ignoti viene nominato agli Oscar. Per non parlare dell'exploit della Grande guerra (1959) trionfatore a Venezia con il Leone d'or.
Dopo aver cavalcato l'onda lunga del genere negli anni Cinquanta e Sessanta, nei complessi Settanta Monicelli non perde la sua carica innovativa: nel 1975 raccoglie l'ultima volontà di Pietro Germi che gli affida la realizzazione di Amici miei, film rimaasto cult assoluto; mentre nel 1977 recupera la dimensione tragica con Un borghese piccolo piccolo, interpretato da un grande Alberto Sordiu. Seguono, nei decenni successivi, Speriamo che sia femmina (1985) e il feroce Parenti serpenti (1993).
Ed è di qualche anno fa, nel 2006, il tanto desiderato ritorno sul set di un film, rallentato da ritardi e difficoltà produttive: è Le rose del deserto, liberamente ispirato a Il deserto della Libia di Mario Tobino e a Guerra d'Albania di Giancarlo Fusco. Un ritorno da leone, comunque venga giudicata la pellicola. Poi l'ultimo passaggio a Venezia, con un cortometraggio dedicato a quartiere romano in cui è vissuto fino alla fine, il Rione Monti. E recentissimamente il suo sostegno alle proteste contro i tagli alla cultura: ha anche incontrato, qualche mese fa, gli studenti in lotta alla Terza università della capitale. A dimostrazione della sua volontà di non arrendersi.
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ROMA - Spesso nel corso degli anni, riferendo della scomparsa di questo o di quel veterano del nostro cinema, i giornali hanno utilizzato espressioni del genere "addio all'ultimo dei grandi". Ma mai come nel caso della scomparsa di Mario Monicelli questo modo di dire si sgancia dal luogo comune, diventando verità assoluta: perché questo immenso autore italiano che questa sera ha deciso di porre fine alla sua lunga vita, gettandosi dal quinto piano dell'ospedale San Giovanni della capitale, è davvero un personaggio unico, di enorme statura, nel panorama della settima arte. Padre fondatore ed esponente più autentico - cinico, disincantato, eppure carico di passione civile - di quella nobile tradizione nostrana che va sotto il nome di commedia all'italiana.
Un genere che al suo genio, al suo talento, deve tantissimo. Come dimostra l'elenco dei suoi film più noti (in tutto ne ha girati quasi settanta): da La grande guerra ai Soliti ignoti, da Amici miei a Guardie e ladri, da L'armata Brancaleone a La ragazza con la pistola. Così come a lui devono tantissimo i migliori attori italiani del Novecento, a cui ha regalato pellicole e ruoli indimenticabili: da Vittorio Gassman a Totò, da Marcello Mastroianni ad Alberto Sordi, passando per Monica Vitti.
Toscanaccio di origine e di temperamento, Monicelli nasce a Viareggio il 15 maggio del 1915. Figlio di Tommaso, critico teatrale, e giornalista Tommaso, dopo la laurea in storia e filosofia a Pisa, Mario esordisce nel cinema nel 1932 con il
corto, firmato insieme ad Alberto Mondadori, Cuore rivelatore. Emigrato nella Roma fascita, il regista si ambienta subito, nella capitale dell'Italia mussoliniana. Ma è nel dopoguerra che, insieme ad autori come Dino Risi, Luigi Comencini e Steno, inventa il filone aureo della commedia all'italiana. Raccogliendo grandissimi successi di pubblico, ma anche riconoscimenti ufficiali: ad esempio il suo Guardie e ladri ottiene due premi a Cannes nel '51, mentre I soliti ignoti viene nominato agli Oscar. Per non parlare dell'exploit della Grande guerra (1959) trionfatore a Venezia con il Leone d'or.
Dopo aver cavalcato l'onda lunga del genere negli anni Cinquanta e Sessanta, nei complessi Settanta Monicelli non perde la sua carica innovativa: nel 1975 raccoglie l'ultima volontà di Pietro Germi che gli affida la realizzazione di Amici miei, film rimaasto cult assoluto; mentre nel 1977 recupera la dimensione tragica con Un borghese piccolo piccolo, interpretato da un grande Alberto Sordiu. Seguono, nei decenni successivi, Speriamo che sia femmina (1985) e il feroce Parenti serpenti (1993).
Ed è di qualche anno fa, nel 2006, il tanto desiderato ritorno sul set di un film, rallentato da ritardi e difficoltà produttive: è Le rose del deserto, liberamente ispirato a Il deserto della Libia di Mario Tobino e a Guerra d'Albania di Giancarlo Fusco. Un ritorno da leone, comunque venga giudicata la pellicola. Poi l'ultimo passaggio a Venezia, con un cortometraggio dedicato a quartiere romano in cui è vissuto fino alla fine, il Rione Monti. E recentissimamente il suo sostegno alle proteste contro i tagli alla cultura: ha anche incontrato, qualche mese fa, gli studenti in lotta alla Terza università della capitale. A dimostrazione della sua volontà di non arrendersi.
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