ROMA - "Questa è la dimostrazione che i dossier c'erano davvero". Emma Marcegaglia è a Gazoldo degli Ippoliti, headquarter del gruppo siderurgico di famiglia. Ha appena appreso che il "Giornale" uscirà con un dossier su di lei, sugli "affaire della family Marcegaglia", come aveva "avvertito" via sms Nicola Porro, il vicedirettore del quotidiano della famiglia - questa volta - Berlusconi. "Vogliono la guerra", le scappa d'istinto mentre, con i suoi più stretti collaboratori, comincia a studiare le contromosse. Ma questa non è, e non sarà, una guerra tra famiglie. Da ieri è iniziata un'altra storia nei rapporti tra la Confindustria, da una parte, e il centrodestra, dall'altra, con il suo governo e i suoi giornali. E i loro metodi.
Emma Marcegaglia, la prima donna al vertice della più influente lobby nazionale, fino a metà giornata pensava che tutto sarebbe gradualmente rientrato. Aveva chiesto di tenere il profilo basso ai suoi associati, nessuna dichiarazione pubblica di solidarietà, nessuna polemica. Una sorta di consegna del silenzio per non finire nel tritacarne. Fino all'annuncio di Vittorio Feltri e Alessandro Sallusti. Quella è stata la dichiarazione di guerra. L'idea berlusconiana della contiguità naturale tra il suo centrodestra populista e la Confindustria dei suoi "colleghi" imprenditori è andata improvvisamente in frantumi. Anni di collateralismo cancellati, forse anche rinnegati. Vanno in archivio l'abbraccio di Parma (2001) con "il vostro programma è il mio" di Berlusconi e lo strappo di Vicenza (2006) con il Cavaliere che scatena la base dei piccoli arrabbiati contro i Montezemolo, i Della Valle, i Pininfarina, insomma i nobili sempre in prima fila.
Ieri, però, una stagione è di colpo ingiallita. Perché pure i berluschini come li apostrofò l'avvocato Agnelli all'indomani della salita di Antonio D'Amato alla presidenza di Viale dell'Astronomia, hanno detto basta. Basta "all'imbarbarimento del clima politico", come hanno scritto nel comunicato, senza precedenti per toni e argomenti, del Comitato di presidenza della Confindustria. Questo è il "governo" dell'associazione, la squadra di Emma Marcegaglia. Meglio ricordarli i nomi dei "ministri": John Elkann, Alberto Bombassei, Federica Guidi, Paolo Zegna, Edoardo Garrone, Diana Bracco, Giorgio Squinzi, Gianfelice Rocca, Cristiana Coppola, Cesare Trevisani, Antonio Costato, Vincenzo Boccia, Luca Garavoglia, Aldo Bonomi e Salomone Gattegno.
Sono lo specchio dell'Italia industriale, grandi e piccoli imprenditori, con i medi del "quarto capitalismo" che da tempo fanno i conti con la globalizzazione. Sono quelli che, insieme agli operai, stanno reggendo la baracca di un paese che - nonostante l'ottimismo berlusconian-tremontiano - ha perso sei punti di Pil nel biennio della recessione e che per recuperarli dovrà aspettare diversi anni, più della Francia, più della Germania. Non lo dice l'opposizione ma la Banca d'Italia. Sono loro che nel comunicato del Comitato di presidenza hanno imposto un passaggio chiave:
"Stiamo assistendo a un imbarbarimento del clima politico, che oltre a creare sentimenti di disaffezione e disistima nei cittadini, non incoraggia le imprese a continuare a lottare per difendere ed accrescere il benessere che abbiamo conquistato". Non è una resa ma l'annuncio di un possibile addio, quello che gli industriali chiamano delocalizzazione. Di certo è la certificazione del divorzio con il modello politico e culturale di Berlusconi. Mai si erano espressi in questi termini nei confronti di un governo che a stragrande maggioranza gli industriali hanno votato e sostenuto. Una frattura così profonda che Berlusconi non deve aver messo in conto o che forse ha finito per sottovalutare.
E' come se il "partito dei padroni" abbia deciso di fare da sé, proprio mentre al governo ci sarebbe una maggioranza ideale: ampia, di destra, favorevole all'impresa, molto settentrionale.
Alla presidente della Confindustria ieri sera è arrivata anche la telefonata di solidarietà del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Ma non quella del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Lui, il Cavaliere, l'imprenditore self made, l'uomo del fare è rimasto in silenzio. Con Emma Marcegaglia erano seduti fianco a fianco, giovedì scorso, alla colazione a Villa Madama con il primo ministro della Cina Wen Jiabao. Neanche una parola sulle intercettazioni, sulle "minacce" arrivate proprio dal giornale della sua famiglia, di proprietà del fratello Paolo. Silenzio. Che continuerà perché Silvio Berlusconi non ha alcuna intenzione di esprimere solidarietà alla Marcegaglia. Lui la voleva nel governo, come ministro dello Sviluppo economico, ma prima l'aveva anche catalogata tra le "veline".
Ieri la Marcegaglia avrebbe dovuto andare all'assemblea degli imprenditori di Trento. Ma dopo l'annuncio di Feltri-Sallusti non se l'è sentita. Non le andava di affrontare il viaggio, e neanche l'assedio dei giornalisti. Ha scelto il collegamento telefonico e ha deciso, di non aspettare il dossier, e di andare all'attacco con il comunicato del Comitato di presidenza. Lasciando, anzi chiedendo, "libertà di parola" ai suoi colleghi. Ed è stata quasi una ribellione civica. Prove - per una volta - di rivolta delle elite. Un pezzo di classe dirigente, influente, tendenzialmente cauta e moderata è scesa in campo. Usando un linguaggio e ricorrendo ad analisi sul degrado italico che solo qualche giorno fa sarebbero stati inimmaginabile. Dicendo le cose che - secondo Luca di Montezemolo - tutti già dicevano in privato ma mai - colpevolmente - in pubblico. Per esempio l'editore Alessandro Laterza: "Il caso Boffo dovrebbe averci insegnato qualcosa"; oppure Andrea Tomat, presidente della Confindustria Veneto: "Emma Marcegaglia è una delle poche voci autorevoli, indipendenti e coraggiose e, forse, per questo scomode e mal tollerate"; o anche la Confindustria campana: "La libertà di agire e di esprimersi non deve essere negata a nessuno". La rivolta dei padroni.
Fonte: Repubblica.it
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Che confindustria rompa col premier é positivo. É negativo invece che confindustria abbia ormai da tempo rotto con la classe operai....per non parlare di tutti i settori privati; un pantano in cui non vigono ne leggi ne regole condivise da ambe le parti, e cioè tra padroni e operai...