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"Brancher fu pagato da Fiorani e sapeva che erano soldi sporchi"


MILANO - L'onorevole Aldo Brancher sapeva che i soldi della Popolare di Lodi, ai tempi guidata da Gianpiero Fiorani, avevano una provenienza illecita. Eppure li ha accettati. Un paio di volte attraverso i conti correnti della moglie, macchiandosi del delitto di appropriazione indebita, altre due volte in contanti e per i quali è stato condannato per ricettazione. In tutto oltre 600mila euro, che a lui servivano per ripianare i propri debiti o per finanziare la propria campagna elettorale, alla banca per avere l'appoggio politico a favore della scalata Antoveneta oppure per ottenere un nome gradito nelle elezioni locali.

La ricostruzione è del giudice di Milano, Annamaria Gatto, ed è contenuta nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 28 luglio ha condannato con rito abbreviato l'ex ministro a due anni di carcere e a pagare una multa di quattromila euro. "La situazione fattuale è tale da pienamente supportare il ragionevole convincimento che l'onorevole Brancher si sia seriamente rappresentato la provenienza delittuosa del denaro ricevuto ed abbia consapevolmente scelto di riceverlo, accettando - pur di non rinunciare ai vantaggi che ne ricavava - di commettere il reato di ricettazione", ha scritto il giudice.

Nel 2003 il direttore finanziario della Lodi, Gianfranco Boni su ordine di Fiorani, aveva dirottato verso i conti della moglie di Brancher, Luana Maniezzo, i proventi di operazioni di Borsa i cui eventuali guadagni sarebbero dovuti invece finire nelle casse della banca. Dai depositi della moglie, i soldi, circa 420mila euro considerati frutto di appropriazione indebita, sono poi passati su quelli di Brancher. "Nessun dubbio poteva avere l'onorevole Brancher che Fiorani potesse compiere altre operazioni di quello o di altro genere in pregiudizio dell'istituto". Non erano soldi che arrivano dal patrimonio personale di Fiorani e non venivano nemmeno "elargiti per mera liberalità". Erano frutto di ruberie. E le modalità di consegna dei soldi, in due casi avvenuta in contanti e in busta chiusa, "concorrono a dimostrare - scrive il giudice - che l'imputato aveva consapevolezza dell'illecita provenienza delle somme che riceveva". Si tratta soprattutto dei due episodi di ricettazione sui quattro contestati dall'accusa, per i quali Brancher è stato condannato. Il primo avvenuto nel 2001 e riferito alla busta consegnata da un uomo di Fiorani a Brancher all'Autogrill di San Donato Milanese con dentro 200mila euro da dividere con Calderoli (archiviato). E l'altro nel 2005, quando l'onorevole del Pdl si era recato nell'ufficio di Fiorani per ritirare un'altra busta con lo stesso importo da spartire sempre con il collega della Lega (sempre archiviato). Nel primo caso il denaro è stato consegnato per strada, nel secondo negli uffici della Lodi: "È evidente - sostiene il giudice - che se si fosse trattato di un fatto connotato da un minimo di liceità non sarebbe stato necessario operare con tanta rapidità e nel contempo circospezione". Un giudizio corroborato, poi, dalle testimonianze raccolte dal pm Eugenio Fusco, tra i collaboratori di Fiorani, Donato Patrini, regional manager della banca, e Silvano Spinelli, "cassiere" dei fondi occulti della Lodi, nonché socio di Boni e Fiorani nello spartirsi i proventi di alcune operazioni illecite. Insomma un rapporto "prezzolato", lo ha definito la Gatto, che ha garantito a Fiorani un appoggio politico e a Brancher una valanga di quattrini.

Fonte: Repubblica.it

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