Come racconta l’ex avvocato di Luciano Gaucci, a maggio un suo collega che lavora per l’ex presidente del Perugia ma anche per B. ramazza le carte della causa civile tra il cliente e l’ex compagna Elisabetta Tulliani. Carte che, al momento opportuno (una settimana fa, all’indomani della cacciata di Fini dal Pdl), finiscono sul Giornale della famiglia B.
Il copione è lo stesso collaudato negli anni contro chiunque abbia osato mettersi di traverso sulla strada di B.: Di Pietro e gli altri pm del pool di Milano, Ariosto, Bossi, Veronica, D’Addario, persino Casini e Boffo. Talvolta le notizie sono vere ma insignificanti, però opportunamente pompate, manipolate e decontestualizzate diventano enormi. Altre volte si mescola il vero al falso. In certi casi, alla disperata, s’inventa e basta. Il dossier Montecarlo usato contro Fini ricorda il dossier Gorrini usato contro Di Pietro per farlo dimettere dal pool nel ’94 e trascinarlo sotto processo a Brescia nel ’95. I fatti sono veri: Di Pietro accetta un prestito da un amico, poi lo restituisce; Fini fa vendere un alloggetto ereditato da An che finisce a due società offshore, una delle quali l’affitta al “cognato” di Fini. Entrambe le faccende non costituiscono reato (ma apposite denunce innescano indagini della magistratura, destinate fra qualche mese all’archivio), né investono denari o cariche pubbliche. Ma sono leggerezze: un pm non deve accettare prestiti, un politico non deve consentire a membri della propria cerchia familiare di beneficiare del proprio potere. Giusto, dunque, che la gente conosca i fatti. Che però vanno misurati col metro della loro gravità intrinseca (scarsa) e del contesto in cui avvengono (una classe politica inquinata da mafie, corruzioni e malversazioni di ogni genere). Una pulce dovrebbe restare una pulce e un elefante un elefante. Ma in Italia l’elefante il padrone dell’informazione, così le pulci diventano elefanti e gli elefanti pulci.
Ieri il Corriere dedicava le pagine 1, 8, 9, 10, 11 a Fini & cognato, confinando a pagina 25 una notizietta da niente: un appunto di Vito Ciancimino, consegnato ai pm dalla vedova, su finanziamenti di Berlusconi a Provenzano (titolo: “Mafia, Ciancimino jr tira in ballo il premier”, così è impossibile capire che si tratta di un documento, non di parole al vento). E’ la miglior prova su strada del conflitto d’interessi e del perché nessuno ha mai osato né mai oserà estirparlo.
Chi resta sotto l’ombrello protettivo di B. può fare qualunque cosa, anche la più terribile, e godrà sempre di totale ed eterna protezione. Capiterà che un raro giornale estraneo alla banda ne sveli le malefatte, ma esse resteranno confinate su quelle pagine e ben presto evaporeranno: nessuno le riprenderà per farne un caso. Se invece uno s’azzarda ad allontanarsi dall’ombrello, i cecchini sparano a vista. Se il tizio ha una pagliuzza nell’occhio, la trasformano in trave. Se non ha pagliuzze, gl’inventeranno una trave. Si cerca un personaggio in rovina, dunque disperato (ieri Gorrini e D’Adamo, ora Gaucci), gli si fa balenare un futuro radioso sotto l’ombrello, e non c’è neppure bisogno di spiegargli cosa ci si attende da lui: lo capisce da solo.
I giornali e i tg della ditta (quasi tutti) rilanciano le sue accuse come un sol uomo, anche perché l’informazione politica è ridotta a collage di dichiarazioni di politici, e tutti i politici di B. hanno ordine di ripetere sempre le stesse accuse fino alla noia. Giornali e tg non della ditta, per non sfigurare, le riprendono, magari tentando di riportarle alle giuste dimensioni, ma vengono subito tacciati di censura, con inviti ai loro lettori a non acquistarli e agli inserzionisti a ritirarne la pubblicità.
La solita Procura di Roma, che dorme sonni profondi sulle inchieste a carico di B. (Trani), si scatena con indagini, blitz, rogatorie anche se non si capisce bene dove stia il reato. E subito gli house organ pronti a titolare: “La Procura indaga”. Ergo – sottinteso – c’è del marcio in casa Fini. Se invece una procura indaga su evidenti reati di B., è la prova che B. è perseguitato, dunque innocente
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