ROMA - Paolo Ruffini è sempre "parcheggiato" in una stanza del terzo piano di Viale Mazzini, quello dove ha sede la direzione del personale. Non per molto, se le sentenze hanno ancora un valore. "Non faccio trattative, voglio tornare a Raitre", dice il giornalista. Fu rimosso a novembre da Mauro Masi e da un voto quasi unanime del consiglio di amministrazione (contro si espresse solo Nino Rizzo Nervo) e poi sballottato dall'azienda con nomine ad incarichi inesistenti come la direzione dei canali digitali (Raidigit). Adesso l'orizzonte è radicalmente cambiato. Il giudice del lavoro ha cancellato la rimozione di Ruffini. E ieri mattina i suoi legali hanno inviato una lettera al direttore generale per sollecitare l'adempimento della sentenza.
Se l'incarico per Raidigit prendesse finalmente corpo con una vera struttura e veri poteri accetterebbe la nuova posizione rinunciando a Raitre?
"L'ipotesi di RaiDigit è stata smontata dalla Rai nella sua stessa memoria difensiva. Ma ormai non è questo il problema".
Qual è?
"Ho fatto ricorso al giudice dopo mesi. Quando era chiaro anche a chi non avesse voluto vedere che la ragione della mia rimozione era politica. Lo ho fatto per una questione di dignità. Non certo per utilizzare la sua decisione in una trattativa. Non per farne mercato. La dignità, per me, non ha prezzo. Il punto era ed è quello di ristabilire un principio. E il principio è che in questo Paese si può fare libera informazione senza essere per questo discriminati. E' un principio che riguarda tutti".
L'ha stupita la reazione del nuovo direttore di Raitre Antonio Di Bella che resta al suo posto e rilancia la palla nel campo del Cda?
"Mi pare che Di Bella, nel colloquio con Repubblica, abbia voluto dire un'altra cosa. Mi pare abbia detto che Rai3 è sotto attacco e lui farà di tutto per difenderla. E che se la decisione spettasse a lui non avrebbe alcun dubbio a rispettare la sentenza del giudice. Il gioco di mettere me e Di Bella l'uno contro l'altro è grottesco. Io e Antonio siamo e rimaniamo amici. Anche perché il problema non siamo noi".
Un'azienda in balia delle sentenze dei giudici (il suo reintegro e l'obbligo di mandare in onda Santoro) è un'azienda normale?
"Davvero non capisco la domanda. I cittadini e le aziende di un paese normale sono soggetti alla legge e alle decisioni dei magistrati che la applicano. Il problema in Italia è semmai se l'informazione tutta debba essere nella mani della maggioranza di governo, o se si possa ancora essere liberi senza essere discriminati. E' se valga ancora il merito. Se valgono ancora le regole".
Masi dice vado avanti, respingo l'attacco dei conservatori. Chi sono i conservatori?
"Non ho capito a chi si riferisca".
Lei è in Rai da 14 anni. La politica ha mai invaso Viale Mazzini come in questa stagione dominata dal centrodestra?
"La politica ha un rapporto difficile con la Rai. Dice sempre di voler fare un passo indietro, poi non ci riesce. Credo che la politica dovrebbe pretendere dalla Rai, e pretendere davvero, di essere libera. Più libera di qualsiasi editore privato. Libera e pluralista. Questo è il senso del servizio pubblico. Questa è la sua qualità. Oggi invece, in questa stagione come dice lei, si teorizza che è assurdo che il servizio pubblico eserciti, anche con ruvidezza, il suo diritto di critica nei confronti del governo o del potere. Come se le uniche opinioni legittimate ad essere rappresentate siano quelle della maggioranza. Ecco, questa è un'invasione di campo. Ed è una strana concezione del servizio pubblico e della libertà di informazione".
Il presidente di garanzia Paolo Garimberti e il consigliere di minoranza Giorgio Van Straten votarono a favore della tua rimozione. Hanno sbagliato?
"Io non intendo dare giudizi sui comportamenti dei singoli. Non ne ho diritto. La questione non è chi ha sbagliato, se ha sbagliato e perché. A me interessava sapere se quella delibera era illecita. E il giudice la ha definita così".
Fonte: Repubblica.it
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