Gaspare Spatuzza? “Sembra un remake di un brutto film”, aveva detto nel dicembre scorso il sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano, anticipando, di fatto, la clamorosa decisione di ieri: al pentito che accusa il senatore Berlusconi e Dell’Utri di “relazioni pericolose” con Cosa Nostra nel periodo delle stragi, la commissione del Viminale ha negato lo status di ‘’collaboratore’’ e la conseguente ‘protezione’’ . Il motivo? Ha parlato “a rate’’ , ben oltre i 180 giorni previsti dalla legge del 2001. Di una decisione “politica” sono convinti i magistrati che hanno ascoltato in questi due anni Spatuzza, convincendosi della sua attendibilità: “Decine di pentiti si sono comportati allo stesso modo di Spatuzza – dicono oggi a Caltanissetta – ma non risultano analoghe decisioni”. “Sono molto sorpreso - è la replica del pm di Palermo Nino Di Matteo - per quanto ricordi è la prima volta che si nega l'ammissione al programma di protezione in presenza della richiesta di ben tre Procure della Repubblica”. Sorpreso anche il pubblico ministero del processo Dell’Utri, Antonino Gatto: “Per noi non cambia nulla, ormai l’abbiamo sentito, la corte deciderà”. Con una decisione che in ambienti giudiziari viene definita senza mezzi termini “politica”, arriva dunque dal Viminale uno stop deciso al pentito che ha riscritto la storia delle indagini su via D’Amelio e che con le sue dichiarazioni fa tremare palazzo Chigi, ma i magistrati fanno sapere che per loro non cambia nulla: il pentito è, e resta, attendibile e le sue dichiarazioni seguiranno i percorsi processuali.
La “bomba atomica” Spatuzza, come lo definì il presidente della Camera Gianfranco Fini, deflagra oggi alla vigilia della sentenza Dell’Utri in uno scontro senza precedenti tra magistrati ed esecutivo dagli esiti ancora imprevedibili. Secondo la commissione, infatti, le dichiarazioni “a rate” di Spatuzza “pregiudicherebbero la loro ‘genuinità’”; i 180 giorni servono, scrive la commissione, “a garantire tale genuinità e a evitare abusi, viceversa realizzabili se, come è accaduto in più casi, fossero ammesse le cosiddette ‘dichiarazioni a rate’”. Ma l’unico soggetto titolato a valutare tale genuinità è la magistratura, che si è già positivamente pronunciata, da parte di tre procure, Palermo, Firenze, e Caltanissetta, nel giudicare attendibile il collaboratore e persino degna di attenzione la sua conversione religiosa. "Per noi non cambia nulla: Spatuzza
era e resta attendibile - dice il procuratore capo a Firenze, Giuseppe Quattrocchi - motivatissime
sentenze della Cassazione a sezioni unite stabiliscono che le dichiarazioni sono utilizzabili nel dibattimento anche se rese dopo i 180 giorni". "Il provvedimento della commissione centrale – ha aggiunto - è un atto amministrativo, che riguarda le misure di protezione’’ . E su questo fronte si apre un altro scenario poco incoraggiante per il pentito, e per i suoi familiari, che lo Stato ha deciso di rinunciare a proteggere. Restano per lui ‘ ’le ordinarie misure di protezione ritenute adeguate al livello specifico di rischio segnalato". Un rischio segnalato oggi dai pm che lo hanno interrogato e sottolineato senza giri di parole da Di Pietro: quello di ieri, ha detto, "è anche un segnale ben chiaro, un altolà rivolto a chi collabora con la giustizia, un modo per dire:'state attenti, la collaborazione non paga. Insomma, Spatuzza, da oggi, è un morto che cammina".
Lo scontro tra magistrati e Viminale si accende sui dettagli dei tempi della collaborazione: nel caso di Spatuzza, la stessa commissione si era pronunciata in un primo tempo favorevolmente, sia pure in modo provvisorio, alla concessione della protezione. Secondo la ricostruzione che emerge dai verbali, infatti, il pentito che accusa Berlusconi e Dell’Utri di avere, quantomeno, beneficiato delle stragi, ha raccontato tutti i fatti oggetto poi d’indagine entro i 180 giorni previsti dalla legge, compreso l’incontro con il boss Giuseppe Graviano avvenuto al bar Doney a Roma, in via Veneto. Solo dopo un anno, nel giugno del 2009, ottenuto il programma provvisorio, ha aggiunto i nomi di Berlusconi e di Dell’Utri che gli avrebbe confidato Graviano e lo scottante contenuto di quella conversazione. Lo ha fatto soltanto dopo aver ricevuto la protezione dello Stato, ha spiegato a verbale, per non dare l’impressione di accusare nomi ‘’eccellenti’’ per ottenere benefici. Oggi il rifiuto della protezione di Spatuzza da parte del Viminale e’ l’approdo di un percorso tortuoso e tormentato sin da quando, su input del procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso che ne raccolse per primo le rivelazioni, nel giugno del 2008, le procure di Caltanissetta e Firenze, cui si associo’ quella di Palermo, ne chiesero l’applicazione. Il pentito aveva riscritto la storia delle indagini su via D’Amelio, attribuendosi il furto dell’autobomba e aprendo l’oscuro capitolo del coinvolgimento dei servizi segreti nella strage, e rivelando i presunti interessi dei vertici di Forza Italia nella stagione stragista del ’93. Quelle ‘ ’scomode verita’ – conclude Di Pietro – che oggi, coinvolgerebbero proprio il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e il suo parlamentare di
riferimento, senatore Marcello Dell'Utri".
Fonte: Il Fatto Quotidiano del 16 giugno, in edicola
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La “bomba atomica” Spatuzza, come lo definì il presidente della Camera Gianfranco Fini, deflagra oggi alla vigilia della sentenza Dell’Utri in uno scontro senza precedenti tra magistrati ed esecutivo dagli esiti ancora imprevedibili. Secondo la commissione, infatti, le dichiarazioni “a rate” di Spatuzza “pregiudicherebbero la loro ‘genuinità’”; i 180 giorni servono, scrive la commissione, “a garantire tale genuinità e a evitare abusi, viceversa realizzabili se, come è accaduto in più casi, fossero ammesse le cosiddette ‘dichiarazioni a rate’”. Ma l’unico soggetto titolato a valutare tale genuinità è la magistratura, che si è già positivamente pronunciata, da parte di tre procure, Palermo, Firenze, e Caltanissetta, nel giudicare attendibile il collaboratore e persino degna di attenzione la sua conversione religiosa. "Per noi non cambia nulla: Spatuzza
era e resta attendibile - dice il procuratore capo a Firenze, Giuseppe Quattrocchi - motivatissime
sentenze della Cassazione a sezioni unite stabiliscono che le dichiarazioni sono utilizzabili nel dibattimento anche se rese dopo i 180 giorni". "Il provvedimento della commissione centrale – ha aggiunto - è un atto amministrativo, che riguarda le misure di protezione’’ . E su questo fronte si apre un altro scenario poco incoraggiante per il pentito, e per i suoi familiari, che lo Stato ha deciso di rinunciare a proteggere. Restano per lui ‘ ’le ordinarie misure di protezione ritenute adeguate al livello specifico di rischio segnalato". Un rischio segnalato oggi dai pm che lo hanno interrogato e sottolineato senza giri di parole da Di Pietro: quello di ieri, ha detto, "è anche un segnale ben chiaro, un altolà rivolto a chi collabora con la giustizia, un modo per dire:'state attenti, la collaborazione non paga. Insomma, Spatuzza, da oggi, è un morto che cammina".
Lo scontro tra magistrati e Viminale si accende sui dettagli dei tempi della collaborazione: nel caso di Spatuzza, la stessa commissione si era pronunciata in un primo tempo favorevolmente, sia pure in modo provvisorio, alla concessione della protezione. Secondo la ricostruzione che emerge dai verbali, infatti, il pentito che accusa Berlusconi e Dell’Utri di avere, quantomeno, beneficiato delle stragi, ha raccontato tutti i fatti oggetto poi d’indagine entro i 180 giorni previsti dalla legge, compreso l’incontro con il boss Giuseppe Graviano avvenuto al bar Doney a Roma, in via Veneto. Solo dopo un anno, nel giugno del 2009, ottenuto il programma provvisorio, ha aggiunto i nomi di Berlusconi e di Dell’Utri che gli avrebbe confidato Graviano e lo scottante contenuto di quella conversazione. Lo ha fatto soltanto dopo aver ricevuto la protezione dello Stato, ha spiegato a verbale, per non dare l’impressione di accusare nomi ‘’eccellenti’’ per ottenere benefici. Oggi il rifiuto della protezione di Spatuzza da parte del Viminale e’ l’approdo di un percorso tortuoso e tormentato sin da quando, su input del procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso che ne raccolse per primo le rivelazioni, nel giugno del 2008, le procure di Caltanissetta e Firenze, cui si associo’ quella di Palermo, ne chiesero l’applicazione. Il pentito aveva riscritto la storia delle indagini su via D’Amelio, attribuendosi il furto dell’autobomba e aprendo l’oscuro capitolo del coinvolgimento dei servizi segreti nella strage, e rivelando i presunti interessi dei vertici di Forza Italia nella stagione stragista del ’93. Quelle ‘ ’scomode verita’ – conclude Di Pietro – che oggi, coinvolgerebbero proprio il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e il suo parlamentare di
riferimento, senatore Marcello Dell'Utri".
Fonte: Il Fatto Quotidiano del 16 giugno, in edicola
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