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Scalfaro, nel 92 l'Italia ha rischiato di sparire


ROMA - Presidente Scalfaro, lei era Capo dello Stato nel '93. Se la ricorda la notte fra il 27 e il 28 luglio? Le bombe a via Palestro a Milano, poi a San Giovanni e al Velabro a Roma? Le prime reazioni, le linee telefoniche interrotte, l'ombra di un golpe?
"Non nitidamente come si potrebbe pensare. Ricordo la telefonata con il presidente Ciampi: ero a casa con mia figlia Marianna, vennero a bussare alla porta a notte fonda l'allora segretario generale al Quirinale Gaetano Gifuni e il capo della sicurezza, il prefetto Iannelli. Il telefono non ci aveva svegliati. E ricordo bene la riunione del mattino dopo, quando convocai il capo della polizia, il prefetto Parisi, e i responsabili dei carabinieri e dei servizi"

Quali piste furono seguite all'inizio? La mafia? I servizi stranieri? 007 italiani infedeli? Ci si interrogò sulla regia o sulla "manona" che poteva aver diretto le stragi?
"Formulammo delle ipotesi, tutte queste ipotesi, così come logica vuole davanti a eventi di natura straordinaria. E ordinammo alle persone preposte all'intelligence e alle indagini di raccogliere elementi sufficienti a orientarci in modo convincente. Il prefetto Parisi aveva ricevuto - e teneva in grande conto - una segnalazione del Mossad secondo la quale nel mondo della destra estrema c'era una forte spinta a destabilizzare la situazione italiana, puntando anche alle dimissioni del capo dello Stato. Un anno prima c'erano state le stragi di Falcone, Borsellino e delle scorte, e due mesi prima un'altra autobomba ai Georgofili a Firenze. Cercavamo un filo, una logica che spiegasse questa catena di eventi".


A ripensarci oggi la sequenza di quei giorni oltre che brutale è impressionante: si vede un paese martellato sotto colpi militari e divisioni politiche, lì lì per crollare.
"Furono mesi di preoccupazioni gravi e costanti. La situazione politica era di inquietudine, gravi questioni sociali premevano, la cosiddetta Tangentopoli era in pieno corso; tutti questi fattori creavano tensione nella popolazione. Il mio cruccio in quelle settimane era che - tra una manifestazione sindacale più agitata delle altre e un sit in contro il terrorismo o la mafia - ci potesse scappare l'episodio di violenza; che la piazza cambiasse natura, e che gli eventi degenerassero".

"Nei miei confronti venne montato uno scandalo vergognoso e dovetti parlare in tv al popolo italiano"


C'è chi parla di una regia più raffinata, un'entità che cuciva insieme una nuova strategia della tensione.
"Il vuoto politico, un vuoto politico come quello che le stavo descrivendo, è la condizione di maggiore debolezza di una democrazia. Sarebbe difficile reggere, per qualsiasi paese. È chiaro che chiunque avesse voluto destabilizzare avrebbe trovato terreno fertile. La mafia? I terroristi? Qualche matto dentro gli apparati dello stato? O tutte e tre le cose insieme? Io credo che sia una risposta difficile da dare. La magistratura avviò indagini in varie direzioni. Abbiamo atteso a lungo qualche elemento che spiegasse fatti, moventi, concatenazioni. Ma devo dire che abbiamo atteso invano. Confesso che anche le prime affermazioni del procuratore Antimafia Pietro Grasso in questi giorni mi avevano lasciato perplesso. Chi ha i poteri per investigare investighi. Ho visto che successivamente ha chiarito in maniera soddisfacente il senso delle sue parole..."
Crede che si possa arrivare oggi alla verità?
"Non bastano le certezze morali per attestare una verità. Occorrono risposte documentate, sentenze, verifiche. E devo dire che quasi non spero più che arriveremo a capire. Soprattutto perché non vedo intorno volontà politiche univoche. Il Parlamento sarebbe in grado di condurre un'autentica inchiesta su quei mesi terribili, senza utilizzarla come pretesto per spararsi addosso, da una parte e dall'altra? Condivido gli appelli alla ricerca della verità, ma osservo una realtà politica che fa acqua da tutte le parti".

Eppure, presidente, lei fu direttamente toccato da quelle vicende. Subito dopo le stragi cominciarono le voci, poi la campagna della destra sui fondi neri del Sisde, sugli ex ministri dell'Interno e su di lei che - fu detto e scritto - li aveva usati in maniera indebita.
"Me le ricordo quelle accuse, particolarmente gravi e strumentali, e poi naturalmente mai dimostrate: che io avessi destinato i fondi neri a disposizione del ministro, non soggetti a rendicontazione, per scopi diversi da quelli previsti. Fu un'azione banditesca: in Piemonte certi individui si recarono nei conventi di clausura a chiedere se il presidente Scalfaro avesse finanziato lavori di ristrutturazione o qualsiasi altro tipo di intervento. Mi difesi pubblicamente. Sfidai chiunque a produrre la prova che anche una sola lira avesse avuto destinazione diversa da quelle legittime. In novembre parlai in televisione, davanti al popolo italiano..."

Il famoso "Non ci sto".
"Dissi: "Prima si è tentato con le bombe, ora con il più vergognoso e ignobile degli scandali. Ma occorre rimanere saldi e sereni"".

E perché, pur toccato direttamente, è così restio a ipotizzare zone grigie e regie uniche?
"Perché nonostante tutto quel che abbiamo rievocato, e nonostante anche Parisi mi dicesse che io stesso ero l'obiettivo d'una manovra più vasta, continuo a pensare che sia compito della magistratura e degli apparati investigativi darci una verità definitiva. E che sia compito di noi tutti mantenere misura e sangue freddo fino a quando questa verità sarà accertata".

Fonte: Repubblica.it

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